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I mari delle regioni tropicali, nei quali la temperatura dell'acqua si aggira intorno ai 25 gradi, costituiscono un ambiente ideale per le madrepore: con questo nome si indicano diverse varietà di animali formati da centinaia di piccoli polipi, appartenenti al tipo Celenterati, che vivono in colonie dalle strutture calcaree ramificate in varie forme differenti. Molte specie di coralli vivono insieme e costituiscono il riparo per moltissimi abitanti del mare come pesci pagliaccio, pesci chirurghi, molluschi giganti, crostacei, pesci balestra e ricci di mare sono solo alcune delle creature che popolano la barriera corallina.

La barriera corallina, chiamata anche “reef”, costituisce uno degli ecosistemi più ricchi di specie dell’intero pianeta. È un’estesa e imponente formazione calcarea di origine animale dai mille colori e dalle svariate forme. I responsabili di questo complesso bioma sono gli antozoi madrepori, conosciuti con il nome di “coralli costruttori”. I coralli o madrepore sono costituiti da piccoli polipi di dimensioni variabili (da pochi millimetri ad alcuni centimetri), circondati da un calice calcareo detto “corallite” che presenta forma differente nelle diverse specie. All’interno di ogni polipo vivono delle alghe unicellulari chiamate “zooxantelle”, che conferiscono una colorazione bruno-verdastra. 

Questa particolare associazione è detta “simbiosi mutualistica”, il che significa che entrambe le specie hanno un vantaggio nel vivere insieme. Le alghe, infatti, grazie alla fotosintesi clorofilliana, forniscono al polipo energia sotto forma di zuccheri, producono ossigeno ed eliminano anidride carbonica (che potrebbe formare acido carbonico e danneggiare lo scheletro calcareo dei polipi). In cambio, il polipo offre protezione alle microscopiche e numerosissime alghe ospiti. Ogni centimetro quadrato di madrepora arriva a contenere circa un milione di alghe zooxantelle. 

Le barriere coralline sono costituite dal carbonato di calcio (CaCO3) utilizzato dai polipi dei coralli per edificare la propria struttura di sostegno; i polipi assorbono questa sostanza dal mare e la fissano allo scheletro esterno. Le formazioni coralline si sviluppano in massima parte tra la superficie dell’acqua e i trenta metri di profondità. Sono tre le condizioni ambientali necessarie al suo sviluppo:

  • la temperatura media dell’acqua durante l’inverno deve essere sempre maggiore di 20°C;
  •  la salinità deve rimanere costante;
  • deve essere assicurata la presenza di molta luce. 

Solo in queste precise condizioni il corallo può crescere e riprodursi. Alcune specie (esempio: il corallo cervello) crescono da 5 a 25 millimetri l’anno, altre (esempio: il corallo corna di cervo) crescono molto più velocemente, fino a 10- 20 centimetri l’anno. La barriera corallina è un ecosistema in continua crescita perché sui polipi vecchi che muoiono ne crescono di nuovi, cosicché la parte superficiale è costituita da coralli vivi.

Barriere coralline nel mondo

La distribuzione delle barriere coralline è limitata ai mari tropicali e la sua estensione totale è di circa 600.000 km2. Le zone in cui si trovano le barriere più estese sono tre: Caraibi, le isole occidentali dell’Oceano Indiano e l’area Indopacifica. Questa ultima area è la più ricca di specie di coralli, con punte massime nelle isole indonesiane, nelle Filippine e nell’Australia settentrionale, mentre nell’Oceano Indiano e nel Pacifico le specie presenti diminuiscono.  

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Abitanti del corallo

La struttura corallina offre una sorprendente varietà di habitat per piante e animali. Oltre alle alghe che vivono nei coralli, il mondo vegetale comprende anche numerose alghe rosse, come l’alga incrostante Porolithon dell’area dell’Indopacifico, e alcune alghe verdi come la Caulerpa. Per la barriera corallina si è calcolata una produzione di 1-5 chilogrammi di alghe per metro quadro all’anno.  

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C’è barriera e barriera

Comunemente si parla di “barriera corallina”, ma in realtà il termine è generico. Esistono invece differenti tipi di formazioni coralline distinguibili per origine, forma e rapporto con la terraferma. Le barriere di frangenti si presentano come cinture di coralli parallele alla costa; crescono verso il mare aperto e sono collegate alla costa da un reef interno piatto. La parte in crescita attiva è nella zona di barriera verso il mare aperto perché le condizioni ambientali (luminosità, ossigeno, nutrimento) sono più favorevoli allo sviluppo dei coralli.  

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Ricchezze inestimabili

Le funzioni del bioma “barriera corallina” sono molteplici. Le barriere, infatti, sono un luogo ideale per la nascita e per la crescita degli avannotti (cioè i giovani pesci prima del periodo adulto), che costituiranno le popolazioni di pesci adulti pescate negli oceani di tutto il mondo. Il 20-25% del pesce pescato dai Paesi in via di sviluppo (circa 10 milioni di tonnellate l’anno) vive sulle barriere coralline. Le popolazioni del Pacifico traggono il 90% del loro fabbisogno proteico dalla pesca sulla barriera. In Asia, la vita di un miliardo di persone dipende dal pesce che abita il reef.  

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Origine delle barriere

I più antichi reperti di barriere coralline risalgono a circa 500 milioni di anni fa. A quel tempo, sino ad una latitudine di 40- 45 gradi Nord e Sud si potevano trovare acque con una temperatura media di 20 °C. Nel Paleozoico (560-290 milioni di anni fa) le barriere coralline occupavano una superficie di 5 milioni di chilometri quadrati e avevano un tasso di crescita verticale elevatissimo (sino a 200 m per milione di anni). Circa 360 milioni di anni fa, per un periodo durato circa 4 milioni di anni, le barriere coralline si ridussero a 1.000 chilometri quadrati, sparendo quasi dappertutto.  

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La prima risorsa economica legata a questo ecosistema è il turismo. Quasi tutti i Paesi tropicali del Pacifico e molti dell’Oceano Indiano hanno, lungo le coste, meravigliose barriere coralline. Tra i turisti ci sono appassionati di sport subacquei, semplici amatori attrezzati con maschere e pinne, pescatori e persone che amano le spiagge bianche e soleggiate formate dall’erosione dei coralli delle barriere. Sono circa un centinaio i Paesi che vivono basandosi principalmente sul turismo “da barriera”. Nella sola Florida il guadagno dovuto al turismo naturalistico è di circa 1,6 miliardi di dollari l’anno; tutti i Paesi dei Caraibi dipendono dal turismo per circa metà del prodotto interno lordo. 

Il turismo è stato spesso considerato la più importante risorsa economica ai Tropici. Il clima e la barriera corallina dei Paesi tropicali costituiscono un piacevole diversivo per i visitatori invernali provenienti dalle alte latitudini. Un esempio è il caso delle Hawaii, dove il turismo costituisce il 35% del prodotto interno lordo e il numero dei visitatori supera i 7 milioni l’anno. Qui, come in molti altri Paesi, l’affermazione del turismo ha comportato anche nuovi problemi: sviluppo edilizio lungo le spiagge panoramiche; sottrazione di terreno agricolo per la creazione di strutture ricettive; aumento di richiesta idrica in isole in cui la risorsa acqua è limitata; aumento di attività di scarico, tra cui quello fognario, con conseguente proliferazione di alghe. 

 

Esiste però anche un altro tipo di turismo che rappresenta un altro modo di viaggiare: il turismo sostenibile. L’obiettivo di questo tipo di turismo è di creare itinerari che rispettino le esigenze dei popoli e dei paesi visitati. Il turismo dovrebbe quindi essere programmato consultando le popolazioni locali, in modo che sia giusto ed equo per la comunità ospitante, economicamente sostenibile a lungo termine, che non provochi danni alle attrazioni turistiche e all’ambiente naturale. Nonostante comporti un grande sforzo di programmazione e grossi investimenti, è indispensabile per la salvaguardia del turismo stesso. 

La pesca tradizionale

Le barriere coralline danno tuttora sostentamento a milioni di persone che vivono sulla costa e nelle regioni tropicali. I pescatori escono a bordo delle loro imbarcazioni attrezzate con reti, trappole e fiocine per procurare il cibo alle loro famiglie e vendere nei mercati locali l’eventuale prodotto in esubero. Durante la bassa marea, donne e bambini setacciano le barriere e le pozze d’acqua dove trovano molluschi, pesci e crostacei. 

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Coralli e rischiosi souvenir esotici

In alcuni paesi il corallo viene prelevato dalla scogliera per la costruzione di case e strade, oppure bruciato per farne concime calcareo; dove ciò accade, spesso le barriere sono messe completamente a nudo e non più protette dalle mareggiate o da possibili uragani. In tutto il mondo si raccolgono coralli e conchiglie per venderli come souvenir o per ricavarne articoli per gioielleria o altri prodotti di artigianato: a causa di questo sfruttamento indiscriminato molte specie di molluschi del reef sono ormai diventate rare.  

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Gli abitanti delle barriere

Molte sono le popolazioni la cui sopravvivenza è legata alla barriera corallina, fonte di cibo e di guadagno. L’economia delle piccole isole coralline dipende, quindi, ancora di più dal reef. In genere si tratta di gente povera, che abita Paesi in via di sviluppo e che può contare solamente sulle risorse naturali per la sua sopravvivenza. La popolazione delle Maldive è costituita da circa 200 mila abitanti; oltre un quarto di questi vive nella capitale Malè. Si tratta di una razza mista con caratteristiche fisiche sia indiane, sia arabe, sia africane a causa di insediamenti molteplici e successivi da parte di popoli di diverso ceppo.  

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Sono 109 i Paesi del mondo che possono vantare la presenza di barriere coralline. Almeno 93 di essi possiedono una barriera corallina gravemente danneggiata o addirittura distrutta. Le barriere coralline, quindi, rischiano di scomparire definitivamente in breve tempo per una serie di cause differenti, ma il principale responsabile pare essere l’uomo. 

La pesca col cianuro. Nel Sud Est asiatico le popolazioni vivono soprattutto di pesca, ma spesso i sistemi utilizzati sono molto dannosi per la barriera corallina, poiché vengono usati cianuro ed esplosivo in modo da produrre guadagni molto più facili. È stato calcolato che, dal 1986 al 1991, il 50% delle barriere coralline delle Filippine è stato distrutto da questi metodi. La pesca col cianuro nasce nelle Filippine all’inizio degli anni Sessanta e alimenta un mercato di un miliardo e duecento milioni di dollari l’anno. Originariamente questo tipo di pesca nasce per procurare pesci vivi per acquario e in seguito si è specializzato nella cattura di pesci vivi, soprattutto cernie, da vendere ai ristoranti asiatici. Scelti e prelevati vivi da una vasca d’acquario dei ristoranti, alcuni pesci possono arrivare a costare fino a 300 dollari al piatto, diventando addirittura degli status symbol, da mostrare durante feste o banchetti importanti. Nonostante la pesca con il cianuro sia illegale in tutti i Paesi dell’Indo-pacifico, viene praticata soprattutto nelle zone di barriera ancora intatte. I pescatori sbriciolano una tavoletta di cianuro in una bottiglia di plastica contenente acqua di mare e poi si immergono.

Quando trovano una preda, perlopiù nascosta tra gli anfratti del corallo, le buttano addosso una quantità di soluzione sufficiente a stordirla. Il potente veleno si rivela essere pericoloso anche per i pescatori che rischiano di venirne a contatto durante l’operazione. Spesso i pesci tramortiti finiscono in fenditure nascoste e quindi i pescatori sono costretti ad utilizzare martelli per spaccare pezzi di corallo. Anche la dinamite è utilizzata sulla barriera per rompere blocchi di corallo e stanare pesci.

Questo metodo di pesca non è selettivo, e reca danno anche agli organismi senza interesse commerciale. Soltanto nelle Filippine si sta iniziando a prendere misure concrete per scoraggiare questo tipo di pesca: ad esempio si è avviato un programma di formazione per pescatori, per diffondere sistemi alternativi al cianuro non dannosi all’ambiente. Sono inoltre aumentati i controlli: una rete di laboratori ricerca tracce di cianuro sui pesci in vendita. Si sta anche cercando di rendere obbligatori i controlli sui pesci vivi in vendita e si promuovono corsi di educazione ambientale nelle scuole per sensibilizzare i bambini riguardo ai danni causati da questo tipo di pesca. 

Lo sbiancamento del corallo

Bleaching
è il termine utilizzato ormai comunemente per definire lo “sbiancamento” dei coralli. In caso di stress ambientale (come l’aumento di temperatura) i polipi del corallo buttano fuori le alghe che vivono in simbiosi con essi, le zooxantelle, che danno il colore ai coralli grazie al loro pigmento fotosintetico. La conseguenza di tale fenomeno è la perdita di colore fino allo sbiancamento totale delle colonie di corallo. 

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Come difendere le barriere

Il corretto comportamento individuale è il primo passo per la conservazione di qualsiasi ecosistema, ma a ciò deve necessariamente seguire un impegno politico a livello mondiale. Il 60% delle barriere coralline mondiali è stato classificato "a rischio" dall’UNEP (United Nations Environment Programme). Tra le principali cause della distruzione dei coralli, l’eccessivo sfruttamento della pesca, gli insediamenti turistici e l’uso massiccio di fertilizzanti. 

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Tu cosa puoi fare?

I turisti che passano le loro vacanze in Paesi in cui si trovano i reef sono davvero centinaia di migliaia ogni anno; essi potrebbero facilmente aggravare i danni già recati a questo fragile ecosistema, perlopiù senza esserne consapevoli. Ecco allora cosa fare per evitare di compromettere maggiormente le barriere coralline secondo le associazioni ambientaliste: non comprare prodotti realizzati con gusci di tartaruga, denti di squalo, conchiglie e corallo in nessun Paese al mondo; non mangiare piatti che contengano carne, uova o grasso di tartaruga, come il famoso “brodo”…

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Barriera Corallina

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