Dalla volontà di ridurre lo spreco alimentare e l’inquinamento da plastica, in un laboratorio dell’università Tor Vergata di Roma nasce SPlastica, l'innovativo progetto di Emanuela Gatto e Raffaella Lettieri, due ricercatrici che sono riuscite a produrre una bioplastica a partire dal latte scaduto.
Ciò che ha mosso le ricercatrici a realizzare questo nuovo materiale completamente biodegradabile è stata la necessità di trovare soluzioni all'inquinamento da plastica: ogni anno ne produciamo 400 milioni di tonnellate, di cui circa 300 milioni di tonnellate vengono scartate come rifiuti, spesso riversati nell’ambiente. Si stima che circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscano nei mari e negli oceani ogni anno. Accanto a questo ormai ben noto problema, si affianca quello dello spreco alimentare.
Le ricercatrici hanno scelto di utilizzare il latte come materia prima per la produzione della bioplastica, in Italia, infatti, ogni anno vengono prodotte circa 12 milioni di tonnellate di latte, di cui il 2-4% viene sprecato in quanto il latte ha un tempo di vita breve e, quindi, una volta scaduto, deve essere smaltito come un rifiuto.
Il materiale, ottenuto dopo anni di test e ricerche, è una bioplastica dura, compostabile e biodegradabile sia nel suolo sia in ambiente marino. Questo significa che, se inavvertitamente dovesse finire in acqua di mare, il prodotto si decomporrebbe in sostanze più semplici senza rappresentare un problema per la fauna e la flora marine. Inoltre, è compostabile, potrebbe quindi rappresentare una nuova materia in grado di far crescere nuove piante nutrendo il suolo.
I primi prototipi sono stati realizzati nel 2018. Il prodotto è stato poi perfezionato ed è diventato interessante per le aziende quando le ricercatrici sono passate alla produzione di granuli. Con questa forma la SPlastica può essere caricata nelle macchine industriali che trasformano le materie plastiche producono poi qualunque tipo di oggetto. Attualmente la capacità produttiva di questo materiale è ancora limitata ma l'intento di Emanuela Gatto, Raffaella Lettieri e di tutti gli altri ricercatori che lavorano al progetto è di ampliare la produzione in modo da introdurlo nella grande distribuzione.