Il paesaggio naturale è frutto di un delicato equilibrio, che si è instaurato nel tempo geologico tra i diversi agenti naturali, le diverse forze, i diversi processi all'opera sulla superficie e all'interno della crosta terrestre. Non si tratta di un equilibrio statico e immutabile, ma di un equilibrio "dinamico", dove i processi interagiscono tra loro continuamente, limitandosi o amplificandosi a vicenda. Ogni intervento dell'uomo viene a intaccare questo delicato equilibrio, interferendo con i processi naturali fino al punto da modificarli, a volte in modo irreversibile. Queste interferenze possono essere negative, e l'uomo, più o meno inconsapevolmente, finisce per innescare o amplificare processi geologici che possono rivelarsi dannosi. Attraverso l'analisi del territorio, nella maggior parte dei casi, si possono prevedere i possibili effetti degli interventi dell'uomo: l'analisi del paesaggio è uno strumento importantissimo nella difesa del territorio e nel suo sfruttamento razionale e rispettoso dei processi naturali.
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Atmosfera e idrosfera entrano in contatto con le rocce e i minerali sulla superficie terrestre dove avvengono spontaneamente processi di adattamento delle rocce stesse alle condizioni esistenti sul nostro pianeta. La superficie terrestre è in continua evoluzione e si modifica sempre nel corso del tempo così da formare i paesaggi. Gli elementi che caratterizzano un paesaggio sono molteplici e vanno dalla conformazione del suolo (distese di prati o montagne) ai corpi idrici (laghi, fiumi e cascate), dagli animali (fauna) alla vegetazione (flora), dal clima alle opere dell'uomo (città, strade, castelli e molte altre infrastrutture). Un paesaggio naturale, in assenza di intervento dell'uomo, spesso è il risultato di due forze opposte, di uno scontro che dura migliaia di anni tra i processi geologici che avvengono all'interno della Terra (il movimento delle placche terrestri, l'attività dei vulcani, i processi che portano alla nascita di nuove montagne) e i processi esterni alla superficie terrestre (l'erosione e il trasporto di materiale da parte del ciclo dell'acqua, i mutamenti dovuti alle particolari condizioni climatiche e altri ancora).
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I fattori che modellano
La crosta terrestre è interessata da movimenti tettonici che spostano continenti, chiudono oceani e costruiscono montagne e rendono la superficie terrestre non uniforme al nostro sguardo. Infatti, esistono regioni con altissime montagne e altre caratterizzate da profonde depressioni, come ad esempio le fosse oceaniche. La formazione di una montagna o di corrugamenti della superficie terrestre è dovuta a fattori che agiscono dall’interno della terra e si chiamano agenti endogeni.
Il fondo degli oceani
Esplorando un fondale oceanico incontriamo imponenti e lunghe catene montuose sottomarine in cui si verificano terremoti e un’intensa attività vulcanica. Queste lunghe catene montuose (dorsali oceaniche) percorrono senza interruzione il fondo degli oceani Atlantico, Indiano, Antartico e Pacifico per una lunghezza totale di 80.000 km; sono rilievi molto grandi e fratturati con un’altezza di circa 3 km dal fondo oceanico e sono larghi circa 1500 km. La parte più alta è chiamata rift valley, è formata da una profonda incisione (come una fossa lunga e stretta) circondata da rilievi e altopiani.
I rilievi vulcanici
Un vulcano è un’apertura della superficie terrestre dalla quale fuoriescono lava e gas ad alta temperatura. La struttura dell’edificio vulcanico viene prodotta dal continuo accumulo del materiale eruttato e raffreddato e si distinguono: vulcani lineari, vulcani a cono e vulcani a scudo. I vulcani lineari, che emettono imponenti quantità di lava molto fluida che riesce a spandersi su aree molto vaste. Un esempio tipico sono i vulcani islandesi: lunghe fratture che si aprono nel terreno.
La formazione dei rilievi
L’origine delle montagne (orogenesi) avviene in seguito a movimenti tettonici che piegano e accavallano fra di loro gli strati rocciosi. Tutta la superficie terrestre, ovvero la litosfera, viene suddivisa in aree rigide chiamate placche continentali e placche oceaniche. Queste placche litosferiche sono in continuo movimento tra di loro e, quando si scontrano, si formano le catene montuose. La Cordigliera Andina ha iniziato a formarsi 250-200 milioni di anni fa per lo scontro di una placca oceanica (placca di Nazca) e di una placca continentale (placca sudamericana) …
Come si modellano i versanti
In seguito a piogge e temporali, l’acqua scivola in modo più o meno uniforme sui versanti e le pareti rocciose dei rilievi, alterando e disgregando la roccia in frammenti di varie dimensioni. Questi frammenti cadono per forza di gravità alla base dei versanti dove la pendenza diminuisce, formando degli ammassi detritici chiamati falde di detrito. Le falde di detrito sono facilmente riconoscibili alla base delle pareti rocciose delle Dolomiti. L’alterazione chimica e la degradazione della roccia di un versante rendono più facile l’azione della forza di gravità, che porta allo spostamento lento o veloce di parte del pendio verso il basso.
L’importanza del clima
Tutti i processi che modellano la superficie terrestre sono associati fra loro e legati alle condizioni climatiche; di conseguenza sono caratteristici di determinate zone della Terra. L’area mediterranea, polare, tropicale, ecc. prendono il nome di zone morfoclimatiche e sono caratterizzate da particolari forme del paesaggio create da determinati fattori esogeni e climatici. L’alterazione chimica e la degradazione della roccia di un versante rendono più facile l’azione della forza di gravità, che porta allo spostamento lento o veloce di parte del pendio verso il basso.
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Nelle regioni vulcaniche il paesaggio è anche caratterizzato da una serie di fenomeni minori molto affascinanti, come ad esempio i geyser in Islanda. Questi sono delle fontane di acqua molto calda che fuoriesce direttamente dal terreno e viene spinta a grandi altezze. In Italia invece sono molto comuni le fumarole. Si tratta di emissioni di gas e vapori da fratture sparse sull’edificio vulcanico. Di questo tipo sono, ad esempio, le solfatare, particolarmente diffuse nell’area campana dei Campi Flegrei. Queste manifestazioni si sviluppano quando oramai il vulcano è spento. Si tratta di emissioni di vapore acqueo, anidride carbonica e acido solfidrico che, fuoriuscendo, si deposita come zolfo sulla superficie circostante. Anche i soffioni boraciferi in Toscana sono delle fumarole dalle quali fuoriesce un vapore ricco di acido borico. Per ultima bisogna citare le sorgenti termali, anch’esse molto diffuse sul territorio italiano, che emettono acque ricche di gas più o meno caldi, talvolta arricchite di minerali.
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Il paesaggio fluviale e lacustre
In seguito alle piogge, le acque che scorrono sulla superficie del terreno confluiscono in un rigagnolo che, unendosi ad altri corsi d’acqua, diventa un ruscello. Man mano che il ruscello fluisce verso valle riceve acqua da altri fiumi (gli affluenti) e scorre nel solco che ha formato e che è chiamato letto o alveo. Il percorso di un fiume si presenta con pendenze diverse; è più pianeggiante man mano che si avvicina alla sua foce. Improvvisamente le pendenze possono aumentare quando il letto del fiume è formato da rocce più compatte e non erodibili.
Il paesaggio carsico
Il termine carsico deriva dal nome di una regione, il Carso, al confine tra l’Italia e la Slovenia, caratterizzata proprio da questo tipo di paesaggio. Gli ambienti carsici si sviluppano in terreni costituiti da rocce calcaree molto solubili come i calcari e le dolomie, e le rocce evaporitiche. I carbonati e le evaporiti sono rocce costituite da minerali molto solubili in acqua, che per questo motivo vengono facilmente modellate dall’acqua delle precipitazioni. Anche le gocce di pioggia riescono a sciogliere la roccia su cui cadono e scavano dei solchi, talvolta molto profondi. L’erosione delle rocce calcaree in un territorio carsico viene chiamata corrosione.
Il paesaggio glaciale
Un ghiacciaio è una massa di ghiaccio in movimento; questo movimento ha un’azione erosiva che modella la superficie terrestre nelle regioni a clima freddo. Nella storia della terra, nei periodi glaciali dell’era quaternaria, quasi un quarto delle terre emerse dalle acque marine era occupato da estese calotte di ghiaccio. Esse si stendevano in regioni settentrionali che oggi sono caratterizzate da un clima temperato, dell’America, dell’Europa e dell’Asia e avevano uno spessore anche superiore a un migliaio di metri.
Il paesaggio eolico
Le regioni aride della Terra sono le più esposte all’azione del vento, che soffia in modo regolare e con velocità che può variare dai pochi chilometri orari della brezza ai 200 chilometri orari se si verifica un uragano o un tifone. Rispetto all’acqua, il vento trasporta frammenti di roccia più leggeri; sabbie e silt sono messi in movimento da venti che superano i 30-40 chilometri orari. Alberi, arbusti e copertura erbosa ostacolano il vento; anche la presenza di acqua rende pesanti le particelle del terreno e ne impedisce il trasporto. Le particelle molto fini vengono tenute in continua sospensione dalle turbolenze del vento che le solleva a grandi altezze, le mantiene sospese per giorni, settimane o mesi e le deposita a grandi distanze.
Il paesaggio costiero
La costa è costituita dalla striscia di terreno tra la terraferma e il mare. Il paesaggio costiero è costantemente modellato dall’azione del mare (onde e maree), del vento e degli agenti atmosferici. Non bisogna poi dimenticare che anche alcuni organismi, come ad esempio i coralli e le alghe, possono distruggere o costruire parte del paesaggio costiero. Le coste possono essere alte o basse, rocciose o sabbiose. Le coste alte e rocciose sono caratterizzate da pareti ripide che vengono scavate alla base dalle onde. Ciò può favorire il crollo della parte superiore sporgente e quindi l’arretramento della costa.
Il paesaggio industriale
I paesaggi industriali sono ovviamente diffusi in quelle zone dove l’attività industriale è molto intensa. Perciò è necessario distinguere le nazioni industrializzate da quelle che non lo sono. Queste ultime costituiscono il cosiddetto Sud del mondo, esse sono poco sviluppate e le popolazioni vivono in condizioni di miseria. Del Nord del mondo fanno parte, invece, tutte quelle nazioni ad alto sviluppo industriale e quindi dotate di maggiori ricchezze, cioè: Nord America, Europa occidentale, Giappone.
Il paesaggio agricolo
Essendo l’agricoltura la prima attività dell’uomo, i paesaggi agrari sono diffusi in tutti i continenti e in tutte le popolazioni. Così come per le industrie, anche la distribuzione delle attività agricole è disuguale tra il mondo sviluppato e quello sottosviluppato. In America del Nord e in Europa sono ampiamente diffusi paesaggi rurali, dove l’agricoltura ha carattere intensivo. In queste zone, vasti terreni sono soggetti a una rotazione periodica delle colture; in questo modo, facendo uso anche di moderni macchinari, si producono enormi quantità di merce destinata all’esportazione e alla produzione industriale.
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Dalle parole greche oros (montagna) e genesis (origine) è nato il termine orogenesi, che indica tutti i processi geologici che portano alla formazione di una catena montuosa. Indipendentemente dall'ubicazione geografica, dal clima o dall'altitudine, tutte le catene montuose sono il risultato di uno scontro tra le placche litosferiche che, come un mosaico, compongono la parte più superficiale del nostro pianeta. La collisione avviene nelle zone di subduzione, tra placche costituite interamente da crosta oceanica che portano alla nascita di archi di isole vulcaniche, oppure tra una placca di crosta oceanica che, più densa e pesante, scivola al di sotto di una placca di crosta continentale più leggera formando le cordigliere, come le Ande o le Montagne Rocciose. Quando lo scontro avviene tra due placche di crosta continentale, che hanno la medesima densità, nessuna delle due è disposta a scivolare con facilità al di sotto dell'altra e a poco a poco, ma inesorabilmente, le immani spinte dei due continenti che si fronteggiano creano le catene più spettacolari, più alte e dalla struttura più complessa, come l'immenso arco di montagne che va dai Pirenei e la Catena Betica alle Alpi, dalle Dinaridi ai Tauri, fino al Karakorum e all'Himalaya. Le catene montuose sono quindi le enormi cicatrici che testimoniano i movimenti delle placche litosferiche e ne mostrano gli antichi confini. La Terra è percorsa per migliaia di km da queste "cicatrici", alcune giovani e lunghissime, molto elevate e dai rilievi aspri e selvaggi come Alpi, Karakorum, Himalaya, altre più antiche e dalle forme dolci, quasi delle morbide colline, come gli Urali, gli Appalachi o il Massiccio Centrale Francese: le forme che possiamo osservare sono il risultato combinato dei processi orogenetici e delle deformazioni tettoniche, che sollevano le catene e dei processi di erosione, che modellano i rilievi e tendono a "cancellare" nel corso del tempo i dislivelli e i rilievi che i processi endogeni creano, in un ciclo senza fine.
Approfondimenti
Un'evoluzione continua
I rilievi montuosi costituiscono un elemento importante nel paesaggio del nostro Paese: in qualunque punto della penisola le montagne sono sempre visibili, perfino al centro della Pianura Padana, anche se spesso nascoste dalle nebbie! È facile quindi per noi considerare i rilievi montuosi come qualcosa di fisso e immutabile, che è sempre esistito e sempre esisterà, ma in realtà non è così. Geologicamente parlando, le nostre montagne sono molto giovani e fanno parte del paesaggio del nostro Paese soltanto da meno di 100 Ma, un tempo relativamente breve nella storia geologica.
Com'è fatta una catena montuosa?
Le catene montuose si presentano come fasce allungate, spesso arcuate, di rilievi e successioni di cime elevate, bordate ai margini da aree pianeggianti. Si distinguono una zona "interna" alla catena, quella meno deformata, e una zona "esterna", verso la quale procede la deformazione. La zona esterna, non ancora deformata, verso la quale la catena si muove, viene detta avampaese. Tra l'avampaese e la catena si trova l'avanfossa, una zona depressa al di sotto della quale si verifica la subduzione di una delle due placche.
Storia geologica dell'Italia
Se potessimo osservare il nostro Paese 250 milioni di anni fa, avremmo sicuramente molte difficoltà a riconoscere i luoghi e i paesaggi a noi oggi familiari! I continenti erano raggruppati nella grande massa di Pangea, nella quale si apriva un grande braccio di mare, la Tetide. Il nostro Paese si trovava nell'angolo occidentale di questo grande golfo, sommerso sotto alle acque di un mare poco profondo (200-300 m), molto simile all'attuale Adriatico i cui margini presentavano un paesaggio somigliante a quello delle piattaforme carbonatiche delle Bahamas.
Breve storia delle Alpi
Le Alpi si estendono per circa 1.000 km, con una larghezza di 150-200 km, a costituire un arco che separa geograficamente il nostro Paese e l'area mediterranea dal resto dell'Europa. Le Alpi proseguono verso NE con i Carpazi, nel cuore dell'Europa, e verso SE con la catena delle Dinaridi, che scende dall'Istria e dalla Croazia verso la Grecia. Verso W la catena alpina si arcua ed entra in contatto con la catena appenninica in corrispondenza di un importante lineamento tettonico, la Linea Sestri-Voltaggio. Le Alpi sono una delle catene più studiate al mondo e qui hanno visto la nascita molte delle più importanti teorie geologiche.
Breve storia degli Appennini
Se le Alpi costituiscono il confine settentrionale del nostro Paese, la catena appenninica forma la "spina dorsale" della penisola: si estende con andamento NNW SSE, da Genova dove si innesta con la catena alpina lungo la Linea Sestri-Voltaggio, fino alla Piana di Sibari in Calabria dove dopo una breve interruzione dovuta all'incunearsi del blocco dell'Arco Calabro, riprende nei monti della Sicilia con andamento NE-SW e per proseguire a raccordarsi con la catena Magrebide e l'Atlante Telliano in Tunisia, Algeria e Marocco.
Orogenesi ed erosione
Dall'Oligocene ad oggi, un periodo di circa 25 Ma, è stato calcolato che il sollevamento medio della catena alpina sia stato di circa 1 mm/a: questo significa che, se non fossero intervenuti processi di erosione, le cime delle Alpi potrebbero ora raggiungere l'incredibile altezza di 25.000 m! Significa anche che, nel corso della vita di un uomo, montagne come il Cervino o il M. Bianco si sollevano di circa 7-8 cm: troppo poco per rendersene conto con un'osservazione "a vista", ma tuttavia sufficiente perché le misure geofisiche permettano di quantificare le deformazioni.
La Pianura Padana: piatta solo in superficie
La Pianura Padana si estende a S delle Alpi e le separa dagli Appennini: piatta e monotona in superficie, in realtà nasconde una struttura geologica molto complessa e attiva. Costituisce infatti l'avanfossa della parte centrale della catena alpina, ma anche quella della più giovane catena appenninica: si tratta quindi dell'area dove due importanti catene ancora in formazione si fronteggiano. Il risultato è che nel sottosuolo della Pianura Padana, al di sotto di una copertura di 300-400 m di sedimenti fluviali e lacustri, a partire dal Pliocene (3,9 Ma) si sono formate, e continuano a formarsi, grandi pieghe e scaglie tettoniche che si impilano le une sulle altre.
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I franamenti sono fenomeni di distacco e movimento verso il basso di masse più o meno grandi di roccia o terreni sciolti. Una frana è invece il risultato di un franamento ed è quindi costituita dall’insieme del materiale caduto. Il distacco e il movimento di materiali sono dovuti ad un’unica, semplicissima causa, che controlla ogni nostra azione e ogni nostro movimento: la gravità. Alla gravità si oppongono, in natura, due forze fondamentali: l’attrito e la coesione. L’attrito è la resistenza che un oggetto (un piccolo ciottolo, un grande masso, una casa, una porzione di una montagna) oppone al richiamo della gravità, che tenderebbe a trascinarlo il più in basso possibile, mentre la coesione è la forza che “tiene insieme” le particelle (cristalli, granuli, mattoni, strati di roccia) che costituiscono un oggetto o un materiale. Gli oggetti “geologici” (masse di terra, strati di rocce, versanti e pareti di montagne) si trovano quindi in una situazione di delicato equilibrio tra queste forze: quando la gravità diviene prevalente sulle altre due, allora l’oggetto, o la massa rocciosa, si muove verso il basso. Moltissimi sono, però, i fattori che possono intervenire, in modo naturale o per causa dell’uomo, a turbare questo delicato e instabile equilibrio, venendo a variare l’attrito o la coesione del materiale, o intervenendo sulla gravità, con variazioni di peso del materiale. Il tipo di movimento, il volume del materiale, la velocità del movimento e gli eventuali segni premonitori dipendono proprio da questi fattori. Per questo risulta difficile classificare i vari tipi di franamenti possibili e ancor più difficile tentare di prevederli o di arginarli. Su molti di questi fattori l’uomo non ha alcun controllo, ma alcuni dipendono strettamente dalle attività umane, ed è proprio su questi che possiamo intervenire per ridurre i rischi di eventi franosi e limitare i danni. Come nel caso del rischio sismico, anche il rischio frane non può essere eliminato, ma, a differenza dei terremoti, sui quali non abbiamo alcun controllo e nei confronti dei quali possiamo agire solo limitando il più possibile i danni, molti fenomeni franosi sono più o meno indirettamente provocati dall’uomo, per cui in questo campo abbiamo un buon margine di azione anche per quello che riguarda la prevenzione.
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Cause
Se la gravità è il principale “motore” delle frane, esistono, in realtà moltissimi fattori, per lo più di natura geologica e climatica, che rendono un terreno o un’intera montagna più soggetti di altri a fenomeni di franamento: sono i cosiddetti fattori predisponenti. Tra questi, di particolare importanza sono la natura geologica dei materiali (il tipo di roccia, la sua resistenza, il fatto che si tratti di materiale coerente, come una roccia, o sciolto, come un sedimento o un suolo), il suo stato di fratturazione o di alterazione, che ne condiziona la resistenza, ma anche la pendenza del versante su cui si trovano gioca un ruolo importante.
Tante tipologie
Proprio perché i fattori e le cause che possono provocare una frana sono così numerosi e variabili, esistono moltissime tipologie di frane. La classificazione, quindi, è molto difficile e complessa. Si può, però, distinguere, indipendentemente dal volume di materiale in movimento, in frane di crollo, frane di scivolamento e colate. Le frane di crollo interessano pareti di roccia con distacchi di blocchi rocciosi, come quelli che stanno interessando attualmente molte cime dolomitiche…
Com’è fatta una frana
Una frana, pur presentandosi spesso come un’area molto accidentata e complessa, mostra in genere ben visibile la nicchia di distacco, delimitata dalla scarpata che segna la zona dove è avvenuto il distacco dal versante, spesso coronata e circondata da fratture e crepe aperte nel terreno a monte, e da un corpo di frana, costituito dal materiale accumulato. Questo, indipendentemente dalla tipologia della frana, si presenta di solito come un’area a topografia irregolare, con numerose depressioni, sovente con un “piede” che si espande alla base a coprire il terreno su cui la frana è scivolata.
Movimenti rapidi e lenti
Le frane sono spesso caratterizzate da movimenti improvvisi, spesso a grandissima velocità, che trascinano a valle grandi masse di materiale. Sono sicuramente queste le frane più pericolose, perché raramente danno tempo alle popolazioni coinvolte di mettersi in salvo, ma esistono altri movimenti, lentissimi, quasi impercettibili alla scala della vita umana, che tuttavia sono inesorabili e inarrestabili. Spesso coinvolgono enormi volumi di roccia, a volte intere montagne, e prendono il nome di deformazioni gravitative profonde di versante (DGPV).
Il territorio italiano
L’Italia è uno dei Paesi più a rischio per quanto riguarda le frane. Questo deriva dalle caratteristiche geologiche del nostro territorio. Innanzitutto, ben il 77% del nostro territorio è costituito da aree montuose o collinari, fattore già di per sé destabilizzante. Inoltre, si tratta di un territorio geologicamente giovane e molto attivo, con molte aree attualmente in sollevamento, come molti settori delle Alpi e degli Appennini, e con numerose zone vulcaniche e a forte rischio sismico, tutti fattori che favoriscono molto il rischio frane.
Rischio o pericolo?
Studiando i fenomeni franosi, è opportuno distinguere quello che è il rischio legato alla probabilità del verificarsi di un evento, dalla sua pericolosità, legata invece ai danni materiali e in termini di vite umane che il fenomeno può provocare. Frane gigantesche in aree disabitate, pur venendo a modificare in modo irreversibile il paesaggio, non sono particolarmente pericolose, mentre un unico masso in bilico su una parete che sovrasta un centro abitato può essere molto pericoloso, nonostante il piccolo volume, perché andrebbe a colpire direttamente cose o persone, provocando gravi danni economici e umani.
Studiare una frana
Spesso le frane entrano prepotentemente nelle cronache dei nostri notiziari come eventi improvvisi, catastrofi che si abbattono senza preavviso su un’ignara popolazione. In realtà, per tutte le considerazioni esposte poco prima, gli eventi franosi sono tutt’altro che imprevedibili e la loro “imprevedibilità” è soltanto frutto di scarsa conoscenza o di una discutibile politica sensazionalistica dei mezzi di informazione. Come nel caso dei terremoti, quello che non si può prevedere è il momento esatto in cui avverrà la frana, la precisa traiettoria o il volume esatto del materiale che cadrà...
Difese
Le opere di difesa dai movimenti franosi hanno come scopo quello di ristabilire la stabilità dei versanti, eliminando le cause del movimento o rinforzando i materiali. Per questo si possono realizzare diverse opere di difesa, in funzione del tipo di frana, delle caratteristiche geologiche e del territorio e del rapporto rischio/pericolosità. Alcune opere di difesa mirano ad eliminare o minimizzare alcune cause scatenanti, come la realizzazione di opere di drenaggio che allontanino l’acqua in eccesso dai terreni a rischio, la regimazione di corsi d’acqua, la piantumazione e il rimboschimento, o il consolidamento del materiale…
Prevenire
Di fronte ai disastri naturali, due sono gli atteggiamenti che normalmente si osservano. Da una parte, si tende a minimizzare o ignorare i rischi, fino a che non si verifichi l’evento calamitoso, per poi correre frettolosamente e dispendiosamente ai ripari, oppure a subire con atavica rassegnazione i capricci della natura. Dall’altra parte, si cerca di capire il funzionamento dei sistemi naturali, di prevedere le possibili situazioni a rischio, di prevenire il verificarsi del fenomeno evitando comportamenti che possano aggravare la situazione, realizzando opportune opere di protezione e di monitoraggio, predisponendo piani di evacuazione in caso di pericolo reale.
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L’ambiente è un sistema in cui i processi sono in continua interazione con gli organismi che ci vivono: abbiamo visto, ad esempio, che le acque piovane alterano la superficie terrestre, e che la vegetazione ha un ruolo importante nella disgregazione delle rocce per la formazione di un suolo. L’uomo è in grado di apportare in breve tempo profonde modifiche all’ambiente. Gli interventi dell’uomo sull’ambiente sono strettamente legati al tipo di attività economica e a come è organizzata la società; in alcuni casi l’attività umana è orientata al recupero del dissesto ambientale. Di conseguenza, l’uomo può essere considerato un importante agente modificatore del paesaggio.
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Costruzioni di grandi opere
La costruzione di dighe, moli, strade, centrali per la produzione di energia, ecc., modificano il paesaggio e interferiscono con i processi naturali. Questi cambiamenti sono da tenere in considerazione nella prima fase di progettazione. Immaginiamo di sbarrare il corso di un fiume con una diga e ci accorgiamo di dover considerare: la stabilità della costruzione; la quantità dei sedimenti fluviali che non raggiungerà il mare ma si depositerà nel lago formato dalla diga; il pericolo di erosione per le spiagge in prossimità della foce del fiume.
Erosione delle acque superficiali
Per contrastare l’erosione operata dalle acque che scorrono in superficie è necessario rallentarne la velocità. A questo proposito e per proteggere l’alveo di un fiume, l’uomo costruisce le briglie fluviali, una serie di gradini lungo il corso del fiume. Per tentare di impedire le inondazioni, invece, vengono costruiti degli argini artificiali; nella loro progettazione è importante tenere conto dello spazio naturale che è necessario al fiume per far defluire le acque in piena. Per diminuire la quantità di acqua presente in un alveo durante una piena, si progettano dei serbatoi d’acqua (che possono trattenere momentaneamente una certa quantità d’acqua) e i canali scolmatori (che ne deviano il percorso).
Difendersi dalle frane
Le frane provocano danni ingenti alle cose e alle persone e la prevenzione viene messa in atto attraverso il consolidamento del versante a rischio. Prima di tutto è necessario individuare il terreno franoso ed evitare di costruire opere edilizie od operare scavi. Inoltre, è necessario evitare che grandi quantità di acqua scorrano sulla superficie di questo terreno, costruire fossi di scolo e favorire la copertura vegetale. I muri di sostegno o gabbionate, sono costruzioni che servono a contenere il materiale che si muoverebbe verso il basso del pendio.
Valutazione di impatto ambientale
La Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) è nata negli Stati Uniti nel 1969 con il National Environment Policy Act (NEPA) anticipando di quasi dieci anni il principio fondatore del concetto di Sviluppo Sostenibile definito come “uno sviluppo che soddisfi le nostre esigenze d’oggi senza privare le generazioni future della possibilità di soddisfare le proprie”, enunciato dalla World Commission on Environment and Development, Our Common Future, nel 1987. In Europa tale procedura è stata introdotta dalla Direttiva Comunitaria 85/337/CEE e successivamente recepita nell'ordinamento degli stati membri, divenendo ben presto uno strumento fondamentale nella politica ambientale.
Le alluvioni
In Italia i corsi d’acqua sono spesso caratterizzati da lunghi periodi di magra e brevi ma intense piene causate da forti precipitazioni; l’aumento della portata del torrente provoca l’aumento della velocità di scorrimento dell’acqua e la sua fuoriuscita dagli argini. Il disboscamento, gli incendi, la costruzione di opere edili in zone a rischio sono alcuni dei motivi per cui si verificano questi fenomeni. Le acque del fiume Po rimangono imprigionate dagli argini artificiali che sono stati costruiti per 510 km su una lunghezza totale del fiume di 652 km.