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Dal DNA l’identità dei pompeiani

18 novembre 2024
2 min di lettura
18 novembre 2024
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Gli ultimi studi sui resti umani ritrovati a Pompei offrono nuove prospettive sulla vita quotidiana degli abitanti della città antica prima dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., quando un letale strato di cenere vulcanica e pomice roventi ha ricoperto Pompei ed i suoi abitanti. Questo strato ha seppellito le persone vive, preservando le forme di molti corpi sotto strati di cenere consolidata. I corpi si sono decomposti nel tempo, lasciando vuoti a forma umana nel terreno. Nel XIX secolo, l'archeologo Giuseppe Fiorelli perfezionò una tecnica per riempire questi vuoti con il gesso, creando calchi delle vittime. Il gesso ha conservato frammenti di ossa e attraverso il recupero e il sequenziamento del DNA da questi scheletri incompleti, si è scoperto che molti residenti della città discendevano sì da popolazioni laziali ma erano anche imparentati con le genti del Mediterraneo Orientale. Queste ricerche rivelano anche aspetti legati alle attività commerciali dell’importante città campana: la diversità genetica testimonia una fitta rete di scambi dove Pompei era un fondamentale nodo portuale. A partire dal 2015, il restauro di alcuni calchi in gesso ha integrato l’uso di scansioni con tomografia computerizzata e raggi X per analizzare la struttura ossea e la condizione dei resti, offrendo nuove possibilità per l’identificazione del genere e ottenere informazioni sulla vita delle persone. In molti calchi è stato rilevato un intervento di restauro realizzato in epoche successive, con l’aggiunta di elementi di fantasia che hanno influenzato l’interpretazione dell’identità dei soggetti.

Infatti, il nuovo studio del DNA tratto dai resti delle vittime di Pompei, ha rivelato che le relazioni tra le persone morte insieme erano diverse da quanto si pensava in precedenza. Grazie al DNA, gli scienziati hanno scoperto che un uomo adulto con un braccialetto d'oro che teneva in braccio un bambino non era in realtà un padre e suo figlio, ma un uomo adulto e un bambino non imparentati. Inoltre, una coppia trovata in un abbraccio, inizialmente supposta essere due sorelle o madre e figlia, si è rivelata composta da almeno un individuo maschile. Questi risultati dimostrano che l'interpretazione dei dati archeologici deve tenere conto di nuove informazioni genetiche per evitare errori di valutazione basati su presupposti moderni.