Dopo inverni con pochissima neve e i periodi di forte siccità che ne sono seguiti, sembra che il 2024 stia – almeno in parte - cambiando rotta. Secondo i dati della Fondazione CIMA, per il bacino idrografico del Po l’equivalente idrico nivale (SWE) – un indicatore che stima quanta acqua è stoccata nel manto nevoso e sarà quindi disponibile in primavera e in estate – è attualmente in deficit del -11%, nell’ordine di quella che può essere una normale variabilità interannuale a questo punto della stagione. Allargando lo sguardo a tutta la penisola italiana, al culmine della stagione invernale la neve in Italia segna un deficit del -29%, dato in netta ripresa rispetto anche solo a un mese fa, quando oscillava intorno al -64%.
Questa ripresa è da attribuirsi alle abbondanti precipitazioni di febbraio, concentrate soprattutto al nord, dove si registrano piogge e nevicate sopra la media. Se la situazione sta migliorando al Nord, i valori restano, invece, ancora negativi al Centro, specialmente sul versante adriatico, e in gran parte del Sud Italia. Anche lo SWE sugli Appennini versa in condizioni decisamente peggiori vista l’assenza di precipitazioni a febbraio. Il Tevere non ha praticamente conosciuto l’inverno e resta al -82%, mentre sono in condizioni analoghe l’Aterno-Pescara (-86%) e il Sangro (-71%).
Nonostante questa ripresa, bisogna continuare con i monitoraggi perché questo ultimo periodo è stato sì piovoso ma anche caldo. L’inverno appena concluso è stato il più caldo di sempre secondo i dati ISAC-CNR, con anomalie termiche diffuse in tutta la penisola e in particolare al Nord e sull’arco alpino e con punte di anche +3,5°C rispetto all’ultima decina d’anni. Questo significa che gli accumuli nevosi possono andare incontro a rapida fusione. Ai ricercatori non resta che continuare a monitorare l’andamento delle precipitazioni e delle temperature sia a livello locale sia nazionale in modo da riuscire a comprendere sempre meglio i delicati equilibri climatici.