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Un mare di squali sdentati

01 settembre 2025
6 min di lettura
01 settembre 2025
6 min di lettura

Gli squali, predatori antichi e affascinanti, hanno dominato gli oceani per oltre 400 milioni di anni. La loro sopravvivenza è stata garantita da una combinazione di adattamenti straordinari: sensi sviluppatissimi, strategie di caccia raffinate e soprattutto una dentatura unica, capace di rigenerarsi continuamente. Eppure, di fronte a un nemico invisibile ma inarrestabile – l’acidificazione degli oceani – anche i loro denti potrebbero mostrare segni di cedimento. Un gruppo di ricercatori tedeschi e internazionali ha recentemente condotto uno studio che sembra uscito da un laboratorio di fantascienza: hanno preso i denti di squali pinna nera di barriera (Carcharhinus melanopterus) e li hanno immersi per otto settimane in acqua marina “del futuro”, con un pH di 7,3, il valore che gli scienziati prevedono per l’anno 2300 se le emissioni di CO₂ continueranno senza freni. I risultati? I denti hanno iniziato a corrodersi, perdendo lucentezza, dettagli delle seghettature e persino parti delle radici. Il mare è un enorme “polmone blu”: assorbe circa un terzo della CO₂ emessa dall’uomo. Questo, però, ha un effetto collaterale. La CO₂, sciogliendosi in acqua, si trasforma in acido carbonico, che abbassa il pH dell’oceano. Negli ultimi due secoli il valore medio è sceso da 8,2 a 8,1. Può sembrare una differenza minima, ma la scala del pH è logaritmica: significa che l’oceano è oggi circa il 30% più acido rispetto all’epoca preindustriale. Se il trend prosegue, entro il 2300 si potrebbe scendere a 7,3, con conseguenze devastanti per molti organismi marini che basano la propria struttura su carbonato di calcio o composti affini. Coralli, molluschi e plancton calcareo sono tra le vittime più note. Ma ora scopriamo che anche i denti degli squali – formati da un minerale chiamato fluorapatite, considerato più resistente dell’idrossiapatite dei nostri denti – non sono immuni. I denti degli squali non sono semplici strumenti per mordere: sono vere e proprie lame evolutive. Nel caso dello squalo pinna nera di barriera, i denti superiori presentano seghettature fini che permettono di lacerare la carne delle prede, mentre quelli inferiori sono più appuntiti e servono a trattenere. A differenza dei mammiferi, gli squali sostituiscono continuamente i denti: ogni settimana o mese, nuove file emergono dalla gengiva come una catena di montaggio. La loro struttura è complessa: una radice porosa di osteodentina che ancora il dente, una polpa centrale ricca di tessuto vitale e una corona esterna ricoperta da uno strato duro e cristallino, l’enameloide. È proprio questa combinazione a renderli affilati e resistenti. Ma, come hanno mostrato gli esperimenti, l’acidificazione può attaccare ogni livello. I ricercatori hanno raccolto circa 600 denti caduti naturalmente dagli squali ospitati nell’acquario di Oberhausen, in Germania. Dopo un’accurata selezione, 16 denti sono stati divisi in due gruppi: uno immerso in acqua a pH normale (8,2), l’altro in acqua acidificata a pH 7,3. Per otto settimane, i denti sono stati monitorati con tecniche avanzate come la microscopia elettronica a scansione. I risultati sono stati chiari:

  • cambiamenti di forma: i denti in acqua acida hanno mostrato un aumento della circonferenza, non dovuto a una vera crescita ma a irregolarità e micro-fratture dei bordi.
  • corrosione delle radici: le zone di osteodentina, più porose, hanno perso integrità, con fori e cavità più estesi rispetto ai campioni di controllo.
  • danni alla corona: lo strato più duro, l’enameloide, ha iniziato a presentare crepe e corrosioni visibili, compromettendo la lama tagliente del dente.
  • perdita di dettagli: le seghettature fini, fondamentali per tagliare la carne delle prede, sono state levigate o cancellate.

In altre parole, un futuro oceano più acido potrebbe rendere i denti degli squali meno affilati, più fragili e meno efficienti nella caccia. Per uno squalo, un dente consumato non è un semplice problema estetico. È questione di sopravvivenza. Denti smussati o fragili possono ridurre l’efficienza nel catturare e trattare le prede, costringendo l’animale a spendere più energia per nutrirsi. Su larga scala, questo potrebbe tradursi in squali più deboli, con minore successo riproduttivo e popolazioni in calo. Il tutto in un contesto già drammatico: molte specie di squali sono minacciate dall’overfishing, dalla distruzione degli habitat e dal cambiamento climatico. Indebolire i loro strumenti di caccia significa colpire uno degli ingranaggi fondamentali della catena alimentare marina. Gli squali regolano le popolazioni di pesci erbivori e predatori medi, mantenendo in equilibrio gli ecosistemi. Se scompaiono o si riducono troppo, l’intero sistema può collassare, con conseguenze anche per la pesca e per l’uomo. Gli autori dello studio sottolineano che il loro esperimento rappresenta uno scenario estremo: i denti erano isolati, privi dei meccanismi di difesa di un organismo vivo, e il pH 7,3 corrisponde alla proiezione peggiore per il 2300. In natura, gli squali hanno capacità fisiologiche di compensazione: alcuni, per esempio, riescono a regolare il pH del sangue o a rinforzare la mineralizzazione dei denti. Tuttavia, non sappiamo se tali strategie basteranno in un oceano che cambia così rapidamente. Il messaggio resta chiaro: gli effetti dell’acidificazione non risparmiano neppure i predatori più resistenti degli oceani. E studiarne i denti può diventare una finestra preziosa per capire come il cambiamento climatico stia scolpendo, letteralmente, la vita marina. L’immagine di uno squalo con i denti corrosi dall’acidità marina è potente e inquietante. Non è solo un dettaglio biologico: è il simbolo di un mondo che rischiamo di trasformare irreversibilmente. Se perfino la dentatura degli squali, un’arma affinata da milioni di anni di evoluzione, può vacillare, significa che nessuna creatura marina è davvero al sicuro. La ricerca ci ricorda che gli oceani non sono entità statiche, ma sistemi delicati, interconnessi con l’atmosfera e con le nostre attività quotidiane. Ridurre le emissioni di CO₂ non è solo una questione di clima: è un modo per proteggere gli equilibri vitali del pianeta, dalle barriere coralline agli squali, fino a noi stessi.

Fote: https://www.frontiersin.org/journals/marine-science/articles/10.3389/fmars.2025.1597592/full