Il 20 gennaio 2025 abbiamo assistito ad un momento simbolico per lo sviluppo delle fonti energetiche: il reattore a fusione nucleare EAST (Experimental Advanced Superconducting Tokamak), costruito in Cina, ha mantenuto uno stato stabile di plasma confinato per 1066 secondi (circa 18 minuti), superando il proprio record precedente di 403 secondi (poco meno di 7 minuti). Al fine di comprendere appieno l’importanza di un simile conseguimento, è bene approfondire la conoscenza di questo metodo di produzione energetica, delle difficoltà fisiche e ingegneristiche da superare e di quelle già superate per raggiungere questo traguardo.
Il processo fisico della fusione nucleare è lo stesso che alimenta le stelle (da cui il soprannome di “Sole Artificiale”): due atomi leggeri, nello specifico deuterio e trizio (isotopi dell’idrogeno provvisti rispettivamente di uno e due neutroni), si fondono in un unico atomo di elio, rilasciando un neutrone libero (2H + 3H -> 4He + n). Tuttavia, la massa complessiva dei prodotti risulta leggermente inferiore rispetto a quella dei reagenti: la massa “persa” si è convertita in energia, secondo la legge di Einstein E=mc2. Non potendo ricreare artificialmente le condizioni di pressione che si verificano nel nucleo delle stelle, occorre fornire agli atomi elevatissime quantità di energia affinché possano vincere le forze di repulsione tra i nuclei, di carica positiva. Risulta pertanto necessario mantenere l’idrogeno a temperature prossime a 100 milioni di kelvin, in stato di plasma. Naturalmente, nessuna recinzione fisica è in grado di contenere materia dotata di una temperatura tanto alta, per questo sono stati ideati vari meccanismi di confinamento. Uno di essi è quello inerziale, che sfrutta fasci di laser per comprimere il plasma, impedendo l'espansione incontrollata.
Ad oggi, tuttavia, il sistema più promettente è il confinamento magnetico, reso possibile da strutture chiamate Tokamak (acronimo russo per “camera toroidale con spire magnetiche”), reattori di forma toroidale (“a ciambella”) avvolti da bobine metalliche, con al centro un solenoide, ossia un filo di materiale conduttore avvolto in spire circolari. Facendo passare una corrente elettrica attraverso le bobine toroidali ed il solenoide, è possibile generare rispettivamente un campo toroidale, che segue la circonferenza del toro e mantiene la direzione del flusso di plasma, ed un campo poloidale, che garantisce la stabilità delle traiettorie e previene fenomeni di risvolto del plasma, ovvero perdite di stabilità nelle parti periferiche che possono portare alcune particelle a sfuggire dal confinamento.
L’energia liberata dalle reazioni di fusione nucleare si manifesta principalmente sotto forma di radiazione gamma e di energia cinetica dei neutroni. Questi ultimi, non interagendo con i campi elettromagnetici, sfuggono al confinamento e vengono ricevuti da uno strato più esterno chiamato mantello (o “blanket”), che assorbe il calore e lo trasmette al fluido termovettore che vi scorre attraverso. A questo punto, il moto del fluido carico di energia cinetica fa girare una turbina collegata ad un generatore elettrico. Il ruolo del blanket è però legato anche ad un altro processo, sebbene ancora in via di sviluppo. Parliamo del “tritium breeding”: il neutrone libero prodotto durante la fusione può interagire con il litio presente nel mantello, generando trizio (n + 6Li -> 4He + 3H) e quindi garantendo l’autosufficienza del reattore nella produzione di carburante. Infatti, mentre il deuterio è presente in abbondante quantità nell’acqua marina e può essere estratto con facilità, il trizio è particolarmente raro in natura, in quanto isotopo radioattivo e quindi instabile. La fusione nucleare è una risorsa assai vantaggiosa sotto innumerevoli punti di vista, a seconda che si tengano in considerazione costi e reperibilità delle materie prime, capacità energetica ed impatto ambientale; tuttavia, altrettante sono le complicazioni pratiche nella progettazione, costruzione ed eventuale utilizzo dei reattori. Le difficoltà più evidenti sono legate all’energia richiesta per controllare la temperatura dell’idrogeno e mantenere attivi i campi magnetici, ancora lontana dall’essere compensata dall’energia prodotta nel reattore. Inoltre, le perdite energetiche dovute a turbolenze e fluttuazioni del plasma, oltre che all’erosione dei materiali causata da interazioni con i muri del reattore, rendono estremamente complesso preservare la stabilità del confinamento, per questo motivo un miglioramento del tempo massimo di operatività come quello appena registrato è da considerarsi un traguardo significativo nello sviluppo dei reattori termonucleari.
Tilli Edoardo e Cai Ivan, 4°LF - Liceo Scientifico delle Scienze Applicate Ettore Conti