Quando si pensa alla figura dello scienziato spesso si immagina una persona vestita con un camice bianco, chiusa in un laboratorio a maneggiare provette e delicati strumenti oppure impegnata a risolvere complesse equazioni, occupandosi di cose incomprensibili alla maggior parte dei comuni mortali.
In verità questa immagine è solo uno stereotipo ben lontano dalla realtà. Infatti, la scienza non è mai stata così alla portata di tutti come lo è oggi: ogni anno da ogni parte del mondo sempre più persone partecipano volontariamente a nuove scoperte scientifiche, ad esempio osservando e raccogliendo dati su specie animali o vegetali, classificando immagini astronomiche o esplorando i complessi sistemi di grotte che si celano sotto la superficie terrestre. Non si tratta di scienziati professionisti, ma di persone spinte dalla passione per la scienza e dalla sete di conoscenza, che, grazie alle loro osservazioni, contribuiscono a scoperte scientifiche. Oggi queste persone sono chiamate citizen scientists e la loro partecipazione attiva alla scienza viene chiamata citizen science. Scopriamo meglio di cosa si tratta.
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Citizen science, quando la ricerca è fatta dai cittadini
Citizen science, ovvero la scienza dei cittadini
Oggi per definire il coinvolgimento dei cittadini nel processo scientifico si usa l’espressione inglese “citizen science”, ovvero “scienza dei cittadini” o “scienza partecipata”, che indica la partecipazione attiva in attività di ricerca scientifica di persone di età, formazione ed estrazione sociale diverse, semplici appassionati di scienza o scienziati non professionisti.
Le prime definizioni formali della locuzione inglese citizen science risalgono a metà degli anni Novanta. Nel 1995 il sociologo inglese Alan Irwin introdusse la locuzione citizen science per descrivere le conoscenze di coloro che sono tradizionalmente visti come “ignorant lay people” (persone profane, laiche, ignoranti). Second Irwin, attraverso la citizen science quei cittadini che non sono scienziati professionisti possono partecipare alla ricerca scientifica in due modi: possono affiancare gli scienziati nella ricerca, per esempio raccogliendo e condividendo osservazioni e misure, e, grazie al loro coinvolgimento, possono sottoporre all’attenzione del mondo scientifico i problemi più sentiti dalla società. Sempre a quel periodo risale un’altra definizione storica di citizen science: l’ornitologo statunitense Rick Bonney la definiva “una tecnica di ricerca che utilizza l’aiuto di membri del pubblico per raccogliere dati scientifici”.
Nel giugno del 2014 il dizionario Oxford English ha inserito la locuzione nella lista di nuove parole, dando questa definizione: «raccolta e analisi di dati relativi al mondo naturale da parte di un pubblico, che prende parte a un progetto di collaborazione con scienziati professionisti».
In realtà bisogna precisare quella che noi oggi chiamiamo citizen science è nata molto prima che il termine cominciasse a essere usato e che ci si cominciasse a interrogare sul suo significato. Gli esseri umani, infatti, sono sempre stati curiosi, si sono sempre guardati attorno e hanno sempre cercato di capire come funzionasse il mondo e la Natura, ancor prima che nascesse la scienza intesa come la conosciamo oggi. E’ difficile, quindi, determinare quando abbia avuto inizio il coinvolgimento dei non-scienziati nella ricerca scientifica, ma gli esempi che si possono portare sono molteplici. Significativa è la storia della nascita del Christmas Bird Count, il censimento annuale dell’avifauna dell’emisfero occidentale gestito dalla National Audubon Society.
Christmas Bird Count. Crediti: National Audubon Society (audubon.org), Foto: Camilla Cerea/Audubon
Alla fine del XIX secolo, in Nord America si tenevano le tradizionali Christmas Sides Hunts. Si trattava di battute di caccia natalizie, in cui vinceva la squadra che riusciva a uccidere il maggior numero di uccelli, di qualunque specie fossero e indipendentemente dal loro possibile utilizzo. Nel 1900 Frank Chapman, ornitologo della Audubon, propose un’idea semplice ma rivoluzionaria: perché non cambiare la tradizione e contare gli uccelli delle diverse specie invece di ucciderli, trasformando il massacro in un utile censimento? Il 25 dicembre 1900 nacque così la prima Christmas Bird Count, che ha trasformato una cruenta tradizione in uno dei più celebri e famosi esempi di citizen science, che ogni anno coinvolge migliaia di persone appassionate di avifauna.
La storia poi è piena di illustri personaggi che sono stati dei “precursori” della citizen science. Charles Darwin, per esempio, nutriva una grande passione per le scienze naturali, che coltivò personalmente sul campo, senza intraprendere studi universitari. La famiglia, infatti, l’aveva avviato con scarso successo a studi di medicina prima ed ecclesiastici poi. Darwin, quindi, non fu assunto a bordo del Beagle come scienziato professionista, bensì come naturalista gentiluomo (“gentleman naturalist” lo definì Robert FitzRoy, capitano del Beagle). Ma non è tutto: è noto, infatti, che Darwin tenne una fitta corrispondenza con coltivatori di piante e allevatori di animali di tutti i tipi, che gli fornivano un’inestimabile fonte di dati e informazioni per le sue ricerche. Thomas Jefferson, il terzo presidente degli Stati Uniti, era un agronomo per vocazione, che sperimentava la rotazione delle colture, l’uso di concimi naturali e nuove varietà di sementi nella sua casa di Monticello. Matthew Fontaine Maury, oceanografo, astronomo, divulgatore scientifico, intorno al 1840 capì che i diari di bordo dei marinai erano una inestimabile fonte di dati oceanografici. Decise quindi di organizzare le osservazioni registrate nei diari e nel 1847 pubblicò la Wind and Current Chart of the North Atlantic, una carta che conteneva preziose informazioni che resero la navigazione più sicura, veloce ed efficiente. Si preoccupò inoltre di continuare a coinvolgere i marinai di tutto il mondo nella raccolta dati, spedendo loro un diario di bordo standardizzato, su cui annotare i dati oceanografici.
Nella storia della citizen science, quindi, il ruolo di collezionisti, naturalisti per passione, appassionati di discipline scientifiche – dilettanti ma competenti in materia – è stato fondamentale poiché questi hanno messo a disposizione di tassonomi, paleontologi, biologi e geologi professionisti le loro inestimabili raccolte. E’ indubbio, però, che la “scienza dei cittadini” sia diventata un vero e proprio movimento con migliaia di persone coinvolte solo in questi ultimi decenni.
La citizen science oggi
Negli ultimi anni la scienza dei cittadini ha visto aumentare le sue possibilità in modo esponenziale grazie alla diffusione dell’informatica e degli strumenti web interattivi e alla possibilità offerta dalle moderne tecnologie di gestire vastissime banche dati. La rivoluzione degli smartphone e dei tablet ha poi ulteriormente accelerato la diffusione della citizen science. Ognuno di noi, infatti, ora ha in tasca uno strumento scientifico molto versatile: uno smartphone è uno strumento di geolocalizzazione, una macchina fotografica, un registratore, un computer connesso a internet e ha moltissimi altri sensori che possono essere sfruttati per la ricerca scientifica. Questo ha portato allo sviluppo di numerose piattaforme informatiche online e applicazioni che consentono l’uso degli smartphone e tablet per la raccolta e la trasmissione dei dati.
I citizen scientists possono partecipare al progresso scientifico secondo diversi gradi di coinvolgimento. Nel primo dei 10 principi della citizen science stilati dalla European Citizen Science Association infatti si legge: “i cittadini possono agire come utenti, collaboratori, o responsabili del progetto, e ricoprono un ruolo significativo nel progetto”, e ancora, al punto 4: “le persone coinvolte in progetti di citizen science possono, se vogliono, prendere parte a più fasi del processo scientifico”, dallo sviluppo dei quesiti alla comunicazione dei risultati. Alcuni esempi possono aiutarci a capire meglio il grado di coinvolgimento dei citizen scientists. I cittadini possono volontariamente mettere a disposizione dei ricercatori “strumenti” che usano quotidianamente. Questo è quello che fa SETI@home della NASA, che sfrutta le memorie dei computer quando sono in stand-by per aumentare la capacità di calcolo di calcolatori condivisi. Esistono poi progetti che si avvalgono di applicazioni installate sugli smartphone in grado per esempio di inviare dati sul rumore per mappare l’inquinamento acustico nelle grandi città. In questi casi il cittadino partecipa “passivamente” al processo scientifico. In altri progetti, invece, i volontari raccolgono attivamente informazioni e dati relativi a diversi campi, come biologia, ecologia, meteorologia, astronomia: la maggior parte dei progetti di citizen science e, quindi, il maggior coinvolgimento di cittadini si ha in questo ambito. Infine, ci sono progetti dove i volontari contribuiscono ad analizzare i dati o addirittura collaborano con i ricercatori nella creazione e sviluppo della ricerca.
Il coinvolgimento di volontari appassionati di scienza ha diversi vantaggi, il più grande è sicuramente la possibilità di sviluppare monitoraggi su grande scala spaziale e temporale, raccogliendo una notevole quantità di dati a basso costo. La citizen science, infatti, permette di ottenere informazioni difficilmente conseguibili attraverso i metodi tradizionali. Inoltre, coinvolgere i cittadini nella ricerca scientifica li rende consapevoli della stessa, della sua importanza e dei suoi limiti, avvicinandoli a tematiche chiave come ad esempio i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e habitat, l’inquinamento ambientale e acustico,… A sua volta, una maggiore consapevolezza delle problematiche da parte dei cittadini può portare a un cambiamento nei loro comportamenti, sviluppando così una cittadinanza più rispettosa e interessata all’ambiente e alle tematiche scientifiche in senso lato.
Ma la citizen science non è solo risparmio di tempo e denaro o promozione di sviluppo tecnologico, infatti, è uno degli strumenti più importanti per rendere la scienza aperta e, quindi, democratica. Un esempio massimo di scienza aperta e democratica viene dal CERN, che, oltre a portare avanti su Zooniverse il suo progetto di citizen science, da anni pubblica i dati delle collisioni di LHC (opendata.cern.ch).
Accanto ai numerosi vantaggi, vi sono anche alcuni limiti con cui la citizen science si deve quotidianamente confrontare, primo tra tutti l’attendibilità dei dati. Spesso infatti si teme che il “punto debole” siano proprio i cittadini, cosiddetti non esperti, e quindi non in grado di fornire osservazioni e misure affidabili quanto quelle degli scienziati. Come però afferma il sesto punto del decalogo Ecsa “La citizen science è considerata una metodologia di ricerca come qualunque altra, con limiti e margini di errore che devono essere tenuti sotto controllo. Tuttavia, a differenza delle metodologie tradizionali di ricerca, la citizen science fornisce ampie opportunità di coinvolgimento del pubblico e di democratizzazione della scienza”.
Quindi questo fenomeno è da guardare sempre e comunque con grande fiducia.
A cura di Benedetta Palazzo
Fonti e approfondimenti
- Citizen science: la scienza di tutti
- La scienza democratica
- Citizen science. How ordinary people are changing the face of discovery, di Caren Cooper. Ed. Overlook.
- La scienza di tutti. Iniziative di citizen science nel mondo, di Sara Magnani. Università degli Studi di Milano-Bicocca Centro Interuniversitario MaCSIS