Se quando sentite la parola stampante vi immaginate una scatola che sputa fogli in due dimensioni, avete decisamente bisogno di un aggiornamento. Oggi, infatti, ad essere sotto i riflettori sono le stampanti in 3D. Con le stampanti 3D si possono fabbricare utensili, gioielli, cibo, abiti, giocattoli, auto e persino… case! Ma che cosa è il 3D printing, come funziona e che cosa introduce di innovativo?
La stampa 3D, o manifattura additiva, è una tecnologia di produzione che per formare gli oggetti ricorre alla sovrapposizione di strati successivi di materiale. In questo senso funziona in modo opposto rispetto ad altre tecniche, ad esempio come la fresatura, che procede per sottrazione di materiale. Per capire che oggetto fabbricare, le stampanti ricevono l’informazione attraverso il computer ed è per questa ragione che si parla anche di manifattura digitale. La stampa 3D nasce negli anni ‘80 grazie a Chuck Hull, che inventò la stereolitografia, ovvero una tecnica che permette di creare per addizione singoli oggetti 3D direttamente da modelli elaborati da un software, utilizzando resine fotosensibili. Fu sempre lui, negli anni ‘90, a produrre le prime stampanti in 3D. Negli anni successivi, grazie allo sviluppo nell’ambito delle scienze dei materiali, che hanno messo a disposizione un’ampia gamma di “inchiostri tridimensionali” (come nuove plastiche, ceramiche, metalli, cere,…), alla riduzione dei costi dei macchinari, alla possibilità di stampare oggetti di grandi dimensioni in tempi molto ridotti e, non ultimi, grazie allo sviluppo informatico e alla diffusione di internet, la manifattura additiva ha avuto una diffusione sempre più capillare negli ultimi anni.
Impatto sulla produzione
La stampa 3D è considerata un’innovazione particolarmente dirompente perché introduce delle importanti novità sia sulle caratteristiche degli oggetti, sia sul modello produttivo. Prima di tutto consente di produrre oggetti con geometrie complesse in un pezzo unico. Inoltre, essendo fondata sulla traduzione in oggetto di un’informazione digitale che può essere modificata nei dettagli e procedendo per addizione di strati, la stampa 3D consente di personalizzare la produzione degli oggetti. Se ad esempio pensiamo ad un paio di scarpe (sì, possono essere stampate in 3D!), a seconda dell’utente finale, le misure, così come alcune caratteristiche estetiche, possono essere facilmente modificate e l’oggetto adattato alle esigenze di ciascun individuo.
Ma la personalizzazione degli oggetti non è l’unica novità introdotta del 3D printing. Attraverso la rete, le informazioni da trasmettere alle stampanti per ottenere gli oggetti possono raggiungere tutto il mondo. In questo modo, laddove ci sia una stampante 3D, potenzialmente, c’è la possibilità di produrre gli stessi oggetti attraverso il passaggio di un’informazione virtuale. Questo consente quindi di distribuire la produzione e di introdurre un modello diverso da quello su larga scala, dove la produzione è concentrata in alcuni luoghi e i prodotti distribuiti attraverso il mercato. Il 3D printing, fondato sulla personalizzazione di massa, scardina questo modello, ma va ricordato che sulle produzioni di grandissima serie al momento non è indicata.
Tra i luoghi che sempre più spesso sono abitati dalle stampanti 3D ci sono i fablab. Si tratta di spazi in cui i nuovi artigiani (i makers) condividono macchinari per la produzione di oggetti attraverso le nuove tecnologie, tra cui il 3D printing, aprendo le porte a chiunque voglia produrre un oggetto o costruire un prototipo. Si tratta di vere e proprie community, che attraverso dei percorsi di co-progettazione aperti alla cittadinanza possono trovare soluzioni a bisogni molto concreti, ma spesso orfani di risposta, come nel caso della produzione di dispositivi destinati a specifiche categorie di malati. Le persone affette da disturbi reumatici, ad esempio, che solo in Italia sono 5 milioni, hanno difficoltà a maneggiare gli oggetti. Un handicap che influisce molto sulla qualità della vita e sull’autonomia delle persone, che può essere affrontato progettando delle impugnature disegnate su misura del paziente.
Stampare tessuti biologici
Oltre ad oggetti e dispositivi di vario genere, la nuova frontiera della manifattura additiva riguarda anche i materiali viventi. Siamo nell’ambito della cosiddetta biofabrication, una tecnologia che ha a che fare con prodotti complessi viventi o non viventi a partire da materiale biologico, come cellule, molecole, matrici extracellulari e biomateriali.
Questi prodotti sono molto utili in diversi ambiti: possono essere utilizzati per testare i farmaci, indagare la tossicità di alcuni inquinanti e studiare l’evoluzione di alcune malattie in vitro. Ma non è tutto qui. Perché grazie allo sviluppo di una manifattura additiva sempre più sofisticata, alcuni gruppi di ricerca sono impegnati nella progettazione di biomateriali che possano essere utilizzati come inchiostri dalle stampanti per rigenerare alcuni tessuti, come cartilagini ed ossa.
Questo settore sta facendo passi da gigante e l’’idea di stampare “pezzi di ricambio” per il nostro corpo è tanto affascinante quanto inquietante. Per questo è oggi più che mai indispensabile che la ricerca e l’innovazione siano accompagnate da una riflessione che coinvolga tutta la società.