1386712112

l ghiaccio si forma quando l'acqua allo stato liquido si congela. La temperatura di congelamento dipende dal contenuto di sale disciolto nell'acqua: alla normale pressione atmosferica è 0°C per l'acqua pura, non molto diversa per l'acqua dolce e scende a -1,8°C nel caso dell'acqua di mare. Quando le temperature scendono sotto il punto di congelamento, l'acqua si trasforma nello stato solido. Questo vale per l'acqua che scorre liberamente sulla superficie terrestre come anche per specchi d'acqua come laghi, fiumi, mari, e anche per l'acqua intrappolata nelle fratture delle rocce e nei pori del terreno, dove si formano lenti di ghiaccio e vene. L'acqua corrente, per il suo movimento, gela più lentamente dell'acqua ferma, per questo è più facile in inverno vedere la formazione di ghiaccio sulla superficie di piccoli specchi d'acqua ferma, mentre i corsi d'acqua non sono ghiacciati.

I ghiacciai sono immensi corpi di ghiaccio, ma il ghiaccio che li costituisce solo in minima parte è formato da ghiaccio di congelamento. La gran parte della massa di un ghiacciaio si forma per trasformazione della neve, a causa delle variazioni di temperatura e della pressione degli strati di neve che via via si accumulano.
Di tutta l’acqua dolce del pianeta, che rappresenta circa il 3% delle acque terrestri, quasi l’80% è immobilizzato sotto forma di ghiaccio: è necessario quindi tenerne conto quando si studia il ciclo idrologico.

Il ghiaccio è costituito da cristalli frammisti a numerose impurità, che vanno da sali disciolti inglobati nel reticolo cristallino del ghiaccio, a particelle di detrito, polveri atmosferiche, frammenti di roccia o di suolo intrappolati, a minuscole bolle d’aria rimaste imprigionate nelle fasi di congelamento o di trasformazione della neve in ghiaccio. Lo studio di queste impurità ci permette di ricavare importanti informazioni sui processi di formazione e sul luogo di provenienza del ghiaccio e persino sulla composizione e sulla temperatura dell’atmosfera al momento della formazione.

La neve si trasforma

La formazione del ghiaccio di un ghiacciaio inizia con la deposizione di neve. La neve, con i suoi cristalli a stella o esagonali, contiene moltissima aria, e ha una densità bassissima (per questo vi sprofondiamo così facilmente, e sempre per questo la neve ha la capacità di assorbire moltissimo i suoni, così che un paesaggio innevato ci appare anche stranamente “silente”). Non appena cade al suolo, la neve inizia una trasformazione che porta a modificare la forma e le dimensioni dei cristalli e a ridurre progressivamente il numero e le dimensioni dei vuoti, aumentando la densità.

Vai al testo completo

Proprietà fisiche

Il ghiaccio possiede una singolare proprietà, apparentemente banale, ma che ha importanti ripercussioni sulla vita dell’intero pianeta. Mentre la maggior parte delle sostanze subisce una diminuzione di volume passando dallo stato liquido a quello solido, l’acqua possiede la proprietà di essere meno densa allo stato solido che allo stato liquido: la massima densità, infatti, è raggiunta a una temperatura di 4°C. Questo implica che il ghiaccio sia più leggero di un equivalente quantitativo di acqua liquida, per cui il ghiaccio galleggia sull’acqua.

Vai al testo completo

Quanto pesa il ghiaccio?

In modo analogo ad un oggetto che galleggia sull’acqua, così la crosta terrestre “galleggia” in equilibrio sulle rocce viscose e plastiche del mantello sottostante. Una diminuzione del peso della crosta, dovuta, per esempio, all’asportazione di rocce per erosione, fa alleggerire le rocce, e la crosta si solleva, mentre un aumento di peso fa affondare la crosta ancora di più nel mantello “morbido” e viscoso, con un processo chiamato isostasia. La formazione di spesse coltri di ghiaccio, come è accaduto durante le glaciazioni del passato, causa un sovraccarico sulla crosta coperta dai ghiacci, con il risultato che questa affonda nel mantello, abbassandosi di parecchie centinaia di metri…

Vai al testo completo

La massa di ghiaccio che costituisce un ghiacciaio non è una massa statica e omogenea: il ghiaccio ha diverse caratteristiche nei diversi punti del ghiacciaio e si comporta in modo differente a seconda della sua compattezza, della sua densità, della temperatura all’interno e alla base del ghiacciaio e delle caratteristiche del substrato roccioso su cui poggia. Sulla superficie di ogni ghiacciaio è quindi possibile individuare diverse zone, dove processi diversi sono all’opera per plasmare la forma del ghiacciaio e determinarne il comportamento.

In ogni ghiacciaio si individuano due zone fondamentali: la zona di accumulo, dove la neve caduta durante l’inverno rimane conservata anche durante la stagione calda, che costituisce la zona dove il ghiacciaio riceve l’alimentazione nevosa necessaria alla sua sopravvivenza, e la zona di ablazione. In questa zona si ha invece una perdita di ghiaccio, principalmente per fusione della neve caduta nella precedente stagione invernale e del ghiaccio messo a nudo dopo la fusione nivale, ma anche per crolli e distacchi di materiale dal corpo del ghiacciaio, come avviene, per esempio, nella formazione di iceberg.

Vi sono quindi zone del ghiacciaio dove si produce ghiaccio e zone dove il ghiaccio viene invece distrutto e allontanato. Le due zone sono ben riconoscibili in estate: la zona di accumulo presenta una superficie bianca, coperta di neve e Firn, mentre la zona di ablazione mostra ghiaccio vivo, in genere di aspetto “sporco” per la presenza di detriti rocciosi affioranti dal ghiaccio.

L’estensione e l’importanza di queste due zone caratterizza ciascun ghiacciaio e ne condiziona il comportamento. L’estensione delle due zone non è fissa nel tempo: esse, infatti, sono delimitate tra loro dalla linea di equilibrio, che coincide, grossomodo, con il limite delle nevi perenni. Poiché questo limite varia molto in funzione delle condizioni climatiche, variazioni del clima a breve e a lungo termine influiscono grandemente sulla sua posizione, e, di conseguenza, sull’ampiezza della zona di alimentazione e della zona di ablazione.

Il corpo di un ghiacciaio montano è normalmente confinato dalle pareti rocciose che lo circondano, in genere, su quasi tutti i lati, ma di norma esiste sempre un lato non confinato, dove il ghiacciaio è libero di espandersi o di ritirarsi: è la zona della fronte, che segna il limite oltre il quale il ghiacciaio non può più esistere, perché qui, semplicemente, l’ablazione distrugge tutto il ghiaccio.

Una delle caratteristiche più evidenti di un ghiacciaio, che lo differenzia da un deposito di neve, è che il ghiaccio si muove, scivolando verso valle sotto la spinta del suo stesso peso. In questo modo, il ghiaccio perso nella zona di ablazione viene continuamente rimpiazzato da nuovo ghiaccio che, formatosi nella zona di accumulo, viene trasportato dal movimento verso valle.

Come si muovono

Il movimento di un ghiacciaio non è uniforme in tutta la massa e nemmeno costante nel tempo. La velocità di movimento è più bassa in prossimità delle pareti e della base, dove il ghiacciaio è rallentato dall’attrito con il substrato roccioso, e massima nelle zone centrali, dove gli attriti sono minimi e lo spessore del ghiaccio è massimo. Differenti velocità si possono osservare anche alla confluenza di due lingue glaciali, di solito marcate da una morena mediana “galleggiante”, una lunga striscia di detriti che percorre il ghiacciaio per tutta la lunghezza della zona di ablazione.

Vai al testo completo

Delicati equilibri

Per valutare lo “stato” di un ghiacciaio, in particolare se questo sia in fase di avanzata o di ritiro, non basta quindi valutare le variazioni di posizione della fronte, ma occorre considerare il delicato equilibrio tra apporti nevosi, e quindi formazione di nuovo ghiaccio, e perdite di ghiaccio nella zona di ablazione: in poche parole, si devono valutare le variazioni di volume del ghiacciaio, studiando il “bilancio” tra questi due fattori, realizzando quello che i ricercatori chiamano “bilancio di massa”. Si tratta, in pratica, di misurare gli apporti e le perdite, un po’ come in un bilancio aziendale, e dedurre da questo se il volume del ghiacciaio stia aumentando o diminuendo.

Vai al testo completo

Un materiale particolare

Il ghiaccio gode di singolari proprietà fisiche, che condizionano tutti i processi che si svolgono sulla superficie e all’interno di un ghiacciaio. A pressione ambiente, il ghiaccio è un materiale molto fragile, che, se sottoposto a sollecitazioni meccaniche come compressione o distorsioni reagisce fratturandosi e rompendosi in modo fragile (per verificarlo, provate a far cadere un cubetto di ghiaccio: otterrete una miriade di schegge che si fonderanno rapidamente sul pavimento della vostra cucina...).

Vai al testo completo

Un grande nastro trasportatore

Con il movimento del ghiacciaio e l’attrito con la roccia lungo le pareti e sul fondo, la caduta di materiale dai versanti circostanti, la polvere portata dal vento, carcasse di animali, rifiuti lasciati dall’uomo, ivi compresi residuati bellici e corpi di sfortunati soldati o alpinisti possono essere “catturati” e inglobati nel ghiaccio di un ghiacciaio, sia in superficie che all’interno. Il movimento del ghiacciaio, prima descritto come uno scivolamento verso valle, è in realtà più complesso, e contribuisce a far penetrare in profondità i detriti nella zona di accumulo e a riportarli a giorno nella zona di ablazione, dove anche la fusione collabora a metterli allo scoperto.

Vai al testo completo

Ghiacciai bianchi e ghiacciai neri

La quantità di detriti all’interno e sulla superficie di un ghiacciaio è molto variabile, e dipende sia dal movimento del ghiacciaio, sia dal tipo di substrato su cui si muove, sia dalla conformazione e dalle caratteristiche geologiche delle pareti che lo sovrastano. Particolari tipi di rocce, sensibili a processi di alterazione come il crioclastismo, o versanti soggetti a frequenti franamenti e colate di detriti, possono fornire grandi quantità di materiale detritico che va a ricoprire la superficie del ghiacciaio. Questa normalmente appare bianca, costituita da neve nella zona di accumulo, e da ghiaccio disseminato di detriti nella zona di ablazione.

Vai al testo completo

Chi è passato di qui?

Tutti i ghiacciai lasciano tracce del loro passaggio, tracce che possono conservarsi anche per migliaia e persino milioni di anni. Studiando i ghiacciai attuali, i geologi sono in grado di riconoscere agevolmente gli indizi dell’esistenza di antichi ghiacciai. Un ghiacciaio, muovendosi e scivolando sul substrato roccioso, lascia due diversi tipi di tracce: può depositare il materiale che trasporta al suo interno e sulla sua superficie, dando depositi glaciali accumulati in forme caratteristiche e facilmente riconoscibili, oppure può erodere le rocce su cui si muove, lasciando superfici lisciate e levigate.

Vai al testo completo

Le osservazioni sulle variazioni frontali consistono nel rilevare i cambiamenti di forma e di posizione della fronte di un ghiacciaio. Un tempo questa operazione veniva effettuata “a mano”, disegnando pazientemente i profili della fronte, più recentemente fotografandoli da posizioni fisse, e misurando gli arretramenti con strumenti meccanici. Ora queste operazioni si svolgono generalmente con l’uso di GPS e di foto aeree o da satellite, che permettono di confrontare di anno in anno le variazioni. Il Comitato Glaciologico Italiano promuove ogni anno campagne di misure di variazioni frontali su tutti i ghiacciai dell’arco alpino e organizza interessanti corsi per chi volesse diventare operatore glaciologico. 

Il bilancio di massa

Il bilancio di massa è un’operazione più complessa. Occorre, infatti, svolgere una serie di misure e di rilevamenti, come quantificare gli apporti, misurando la quantità di precipitazioni sul ghiacciaio, tenendo conto anche delle cosiddette “precipitazioni occulte”, come la brina o il formarsi di ghiaccio di sublimazione, e degli apporti da valanghe. Per fare questo si misura lo spessore della neve caduta durante l’inverno e la primavera in punti fissi e significativi del ghiacciaio, in genere infiggendo, durante l’estate, apposite aste lunghe e sottili, del diametro di un paio di centimetri, chiamate “paline”, e deducendo dal loro sporgere lo spessore del manto nevoso.

Vai al testo completo

Misurare la velocità

La misura della velocità con cui si muove un ghiacciaio è stata sicuramente una delle prime operazioni effettuate dai primi glaciologi dell’800, insieme alle osservazioni sulle variazioni frontali. Per misurare la velocità con cui il ghiaccio si sposta, occorre fissare un punto del ghiacciaio, riconoscibile per qualche sua caratteristica naturale particolare, come, per esempio, un grosso masso sulla superficie, oppure marcandolo con una o più paline, e misurare costantemente, più volte all’anno e per diversi anni consecutivi, lo spostamento che questo subisce rispetto ad un punto di osservazione fisso al di fuori del ghiacciaio.

Vai al testo completo

Misurare lo spessore

Lo spessore di un ghiacciaio può essere ricavato, con apposite formule, conoscendone la velocità, l’inclinazione, la larghezza, insieme alle caratteristiche del ghiaccio, come densità e viscosità, ma, trattandosi di parametri difficili da valutare e diversi in diversi punti del ghiacciaio, si tratta di una stima grossolana. Il metodo più antico e più diretto per misurare lo spessore di un ghiacciaio consiste nel realizzare una perforazione fino a raggiungere il substrato roccioso. Si tratta, però di un metodo molto costoso, che richiede macchine pesanti e difficili da trasportare, soprattutto in montagna, e che, in ogni caso, permette di conoscere lo spessore soltanto in un punto preciso, e non su tutto il ghiacciaio.

Vai al testo completo

Carote e perforazioni

La presenza di impurità solide e di bolle d’aria intrappolate all’interno del ghiaccio fornisce importantissime informazioni sulla composizione chimica dell’atmosfera e sulle temperature al momento della formazione. Naturalmente, è necessario che il ghiaccio non abbia subìto processi di fusione, che disperderebbero le bolle d’aria: per questo tipo di studi, quindi, si deve lavorare su ghiacciai freddi, in regioni polari. In alcuni luoghi della Terra, il ghiaccio può essere molto antico, come, per esempio, alla base delle grandi calotte antartiche e groenlandesi, dove l’età del ghiaccio può essere superiore ai 300.000- 500.000 anni.

Vai al testo completo

Bolle nel ghiaccio

Le temperature dell’atmosfera intrappolata vengono ricavate studiando il rapporto tra isotopi pesanti dell’ossigeno, come 18O, e il più comune 16O, l’isotopo più diffuso. Il rapporto 16O/18O viene poi confrontato con la composizione di un campione standard di acqua marina, il cosiddetto SMOW (Standard Mean Oceanic Water), ricavandone la differenza, indicata con δ18O‰. Il ghiaccio formato in un periodo freddo ha un contenuto in isotopi pesanti, come 18O, minore, e quindi un δ18O‰ negativo rispetto al ghiaccio formato con temperature più alte. Apposite tabelle permetto di ricavare le temperature medie dell’aria in funzione del valore di δ18O‰.

Vai al testo completo

Ghiaccio sporco

Il ghiaccio di ghiacciaio, formandosi, intrappola al suo interno, oltre alle bolle d’aria, numerose impurità solide, che, se opportunamente studiate, forniscono importanti e preziosi dati sulla storia del nostro pianeta. I detriti più grossolani provengono di solito dai versanti prossimi al ghiacciaio o dalla sua base: importantissimi per ricostruire, attraverso l’esame dei depositi glaciali, ghiacciai ormai scomparsi, non forniscono in genere informazioni significative circa i ghiacciai attuali, di cui ci sono già note l’estensione e la posizione. Più interessanti sono i frammenti più fini, polveri sottili portate dal vento, che possono provenire da molto lontano.

Vai al testo completo

L’età del ghiaccio

Il ghiaccio di ghiacciaio, lungi dall’essere un materiale omogeneo, presenta in genere una sorta di stratificazione, dovuta al progressivo accumulo annuale di strati di neve di diverso spessore: le parti più vecchie si trovano alla base e le parti più giovani vicino alla superficie. In genere il ghiaccio estivo ha un aspetto vitreo, solitamente ricco di polveri scure e di limitato spessore, mentre il ghiaccio invernale è bianco e di maggior spessore. È possibile quindi “contare” i diversi strati e risalire al numero di anni, un po’ come si fa con gli anelli di accrescimento degli alberi. 

Vai al testo completo

Le glaciazioni, periodi di clima freddo che vedono una grande espansione dei ghiacciai su tutto il pianeta, e, in particolare, la formazione di grandi calotte, sono molto ben studiate e conosciute per quanto riguarda il periodo più recente, il Quaternario. Tutta la storia della Terra è costellata da oscillazioni climatiche, con alternanza di periodi caldi e freddi e di episodi di avanzata e ritiro dei ghiacciai. Lo studio di antichissimi depositi glaciali in Nord America, Africa, Australia ha permesso di ritrovare le tracce della più antica glaciazione, vecchia di più di 2 miliardi di anni. Depositi glaciali molto antichi sono stati ritrovati sempre in Africa e in Australia e risalgono a 900, 750 e 600 milioni di anni fa, a testimonianza di altrettante glaciazioni: l’estensione e le durate, però, non sono note con precisione, poiché depositi così antichi si conservano soltanto in piccoli lembi discontinui e non permettono ricostruzioni su più vasta scala.

Altre glaciazioni si sono avute nell’Ordoviciano Superiore, 450 milioni di anni fa, con ritrovamenti di depositi glaciali e rocce montonate nel deserto del Sahara, dove doveva esistere una vasta calotta, di dimensioni doppie rispetto all’Antartide attuale, e al passaggio Permiano- Carbonifero, circa 300 milioni di anni fa, con depositi glaciali che in Sudafrica raggiungo i 900 m di spessore, a testimonianza di una grande calotta che copriva, oltre all’Antartide, l’Africa meridionale, il Madagascar, gran parte dell’India e dell’Australia (naturalmente, per lo studio di questi depositi antichi, è necessario tenere presente che la disposizione delle terre emerse era molto diversa dall’attuale, così come era differente la posizione dei poli). Durante il Mesozoico non si sono trovate tracce di glaciazioni, mentre esistono testimonianze di periodi freddi nel Cenozoico, tra 65 e 22 milioni di anni fa. La calotta antartica iniziò a formarsi circa 15 milioni di anni fa, raggiungendo la sua massima espansione, più estesa dell’attuale, tra i 7 e i 4,4 milioni di anni fa. La calotta glaciale artica iniziò invece a formarsi soltanto 2,6 milioni di anni fa, data d’inizio dell’ultima “era glaciale”, spesso chiamata “quaternaria”, ma che inizia, in realtà, nel Pliocene, e continua per buona parte del Quaternario (che inizia 1,8 milioni di anni fa).

Il Quaternario

Il Quaternario è diviso in due periodi. Il Pleistocene, caratterizzato da numerose glaciazioni, termina 10.000 anni fa, con la fine dell’ultima glaciazione: ogni glaciazione è separata dalla precedente e dalla successiva da periodi caldi detti interglaciali, con clima simile a quello attuale, o anche più caldo. Nel periodo successivo, l’Olocene, pur avendosi alternanze di periodi più caldi e più freddi, non si hanno glaciazioni vere e proprie, a scala mondiale, ma soltanto piccoli episodi di avanzate e ritiro dei ghiacciai alle alte latitudini e in alta montagna.

Vai al testo completo

Oceani di ghiaccio

Quando, nel corso di una glaciazione, grandi quantità di acqua vengono intrappolate nelle calotte e nei ghiacci continentali, gli oceani e i mari vengono impoveriti di importanti quantità di acqua. Questo ha provocato, nel corso di ogni glaciazione, un abbassamento generalizzato del livello dei mari su tutto il pianeta. Durante l’ultima glaciazione, per esempio, il livello del mare si è abbassato di circa 110 m rispetto all’attuale. Molte terre ora sommerse risultavano quindi emerse. Per esempio, un ponte di terra univa l’Alaska e la Siberia, e quello che ora è il porto di New York si trovava a 160 km dalla costa.

Vai al testo completo

Perché le glaciazioni

È ancora acceso il dibattito circa le cause delle glaciazioni. Molti sono i fattori e i processi che le determinano, nessuno di questi probabilmente agisce da solo, ma i più importanti episodi di glaciazione sono sicuramente il risultato della somma di diverse cause. Tra i vari “imputati”, si può suddividere tra fattori “terrestri” e fattori astronomici, esterni al pianeta. Tra questi ultimi, un ruolo importante giocano le variazioni dell’orbita terrestre intorno al Sole, secondo la ben nota teoria di Milankovic. 

Vai al testo completo

I ghiacciai delle regioni temperate aride forniscono una fonte di acqua molto importante nell’economia delle comunità rurali locali. L’uso più sistematico riguarda l’utilizzo delle acque glaciali per l’irrigazione dei campi, mentre l’uso a scopo potabile è spesso limitato dalla grande quantità di particelle solide trasportate dalle acque, che spesso hanno un colore grigiastro e un particolare aspetto lattiginoso. Nelle alte valli del Karakorum, veri e propri deserti di alta quota, dove le precipitazioni vanno da 200 a 80 mm annui, l’agricoltura dipende esclusivamente dalle acque di fusione glaciale. Per sfruttarla, vengono costruiti sistemi di canali, lunghi anche parecchi chilometri: costruiti spesso su instabili depositi glaciali, necessitano di una costante manutenzione e di continue sistemazioni per adattarli alle variazioni frontali dei ghiacciai. Anche sulle Alpi, in Val d’Aosta o nella Valle del Rodano, esisteva in passato una rete di canali di irrigazione, chiamati bisse o ru, che sfruttavano le acque di fusione.

Nelle regioni polari, invece, le popolazioni dell’estremo Nord, come gli Inuit, hanno per molto tempo sfruttato gli iceberg come fonte di acqua potabile. Essendo costituiti da ghiaccio di ghiacciaio, originato, quindi, dalla trasformazione di neve, gli iceberg sono fatti per la gran parte da acqua dolce. Anche ora vengono periodicamente riproposti progetti per lo sfruttamento di queste preziose risorse, per esempio rimorchiando iceberg in prossimità di coste di Paesi con scarsità d’acqua potabile, tuttavia per ora i costi di queste operazioni risultano ancora molto superiori ai benefici.

Una fonte di energia

La produzione di energia idroelettrica rappresenta una voce importante per le regioni montuose di molti Paesi, tra cui anche l’Italia. Le acque di fusione glaciali garantiscono un apporto di grandi quantità di acqua anche durante la stagione estiva, e moltissimi serbatoi e impianti idroelettrici sono alimentati direttamente dai torrenti glaciali. Sulle Alpi italiane, moltissimi esempi si osservano nelle regioni montuose del Nord, come Piemonte, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Lombardia. In alcuni ghiacciai, le acque vengono captate direttamente all’interno del ghiacciaio.

Vai al testo completo

L’acqua all’interno del ghiacciaio

Lo studio di sistemi di grotte glaciali è molto importante anche dal punto di vista idrogeologico, perché permette di capire come funziona e come si comporta l’acqua contenuta all’interno del ghiacciaio, quando costituisce un acquifero glaciale. Gli acquiferi glaciali hanno un comportamento molto simile agli acquiferi carsici, e vengono pertanto studiati con gli stessi metodi. Si cerca innanzi tutto di percorrere la maggior parte delle grotte accessibili, stendendone un rilievo topografico, in modo da capire come si estende il reticolo di condotte e quali sono le direzioni di flusso idrico. 

Vai al testo completo

Ghiaccio e ghiacciai

PDF 299.39 KB
PDF 299.39 KB
PDF 420.92 KB