In Brasile la deforestazione avanza inarrestabile non soltanto nella foresta amazzonica. Anche il Cerrado, la grande savana tropicale che attraversa il Brasile, è da anni soggetta a intense attività di disboscamento per far spazio a monocolture, allevamenti e produzione di carbone. Oggi la regione del Cerrado costituisce uno dei centri agricoli più estesi e attivi del mondo.
Nonostante l’attività di deforestazione sia dannosa per la biodiversità – secondo le stime, la regione è abitata da circa 10.000 specie di piante, oltre 830 specie di uccelli e 161 specie di mammiferi – e per il clima – la deforestazione del Cerrado costituisce una delle principali fonti di emissioni di gas serra in Brasile – ogni anno vengono dissodati fino a un milione di ettari di territorio. Questo equivale a spazzare via un’area delle dimensioni di New York City ogni mese, come spiega il WWF. Secondo l’agenzia nazionale di ricerca spaziale INPE, da agosto 2020 a luglio 2021 il Cerrado ha perso ben 8.531 kmq di vegetazione autoctona. Un aumento del 7,9% rispetto al periodo precedente. La perdita di questo ecosistema comporta la conseguente perdita dei relativi servizi ecosistemici, tra qui l’assorbimento di carbonio. I ricercatorivstimano che la savana brasiliana immagazzini circa 13,7 miliardi di tonnellate di carbonio, di cui due terzi nel sottosuolo.
La profondità del suolo in questa regione ha permesso alle radici di alberi e arbusti di svilupparsi in maniera estesa, al punto che la biomassa sotterranea è quasi il doppio di quella visibile superficialmente (caratteristica che ha regalato al Cerrado il soprannome di “foresta capovolta”). Inoltre, la savana fornisce il 40% di tutta l’acqua dolce del Brasile e del Pantanal. I terreni profondi si comportano come una sorta di spugna gigante, assorbendo e immagazzinando abbastanza acqua durante la stagione delle piogge per alimentare milioni di sorgenti tutto l’anno, anche nel cuore della stagione secca.
Pochi altri luoghi della Terra hanno visto un cambiamento così rapido, che rappresenta “l’indicatore più nudo e crudo della terribile politica ambientale di questo governo”, come ha affermato Ane Alencar, direttore scientifico dell’organizzazione no-profit Amazon Environmental Research Institute.