Il caffè è secondo solo all’acqua nella classifica delle bevande più diffuse al mondo: il consumo mondiale di caffè è pari a 2,5 miliardi di tazze al giorno. Una su tre viene bevuta in Europa; per noi italiani in particolare, bere caffè è un rito di grande valore culturale. Spesso ne limitiamo il consumo per la nostra salute, e quasi mai ci interroghiamo sull’impatto ambientale che ha la tazza di caffè che beviamo ogni mattina a colazione. Per avere un’idea dell’impatto ambientale del caffè basta pensare che per soddisfarne la richiesta globale, la produzione di caffè dovrà triplicare entro il 2050 e che il 60% delle aree idonee a coltivare caffè è coperta da foreste. Un tempo la pianta del caffè si coltivava ai margini delle foreste, oggi si abbattono alberi su alberi per coltivarlo. Risultato: bere un caffè significa bersi una parte di questa foresta. E questo è solo un esempio del legame tra il nostro stile di vita e l’impatto che questo ha sulla salute del nostro pianeta e i particolare sulle foreste.
Di questo legame ne parla ampiamente l’ultimo rapporto del Wwf dal titolo “Quanta foresta avete mangiato, usato o indossato oggi?”, che riporta degli esempi di deforestazione “incorporata” (embedded deforestation) per alcuni beni di consumo, dalle scarpe che indossiamo al cacao. Il 73% della deforestazione nelle aree tropicali e subtropicali ha lo scopo di ricavare spazio per pascoli o terreni agricoli, dove coltivare soprattutto soia e palma da olio. Cosa c’entriamo noi che abitiamo dall’altra arte del mondo rispetto alle aree deforestate? Tutti i prodotti che derivano dalla deforestazione sono veduti ed esportati: ecco che si fa chiaro il legame che porta fino a noi. L’Unione europea infatti acquista il 37% delle colture e dei prodotti di origine animali associati alla deforestazione, in particolare il 60% proviene dal Brasile, il 25% dall’Indonesia. Da soli, i consumi dell’Unione europea provocano il 10% della deforestazione globale.