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Le leguminose rendono sostenibile l'agricoltura

24 giugno 2020
2 min di lettura
24 giugno 2020
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Tra i diversi studi condotti per rendere più sostenibile l’agricoltura e, in particolare, la fertilizzazione, vi è quello condotto dall’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Ibbr) con l’obiettivo di  rendere più fertili i terreni agricoli convertendo l’azoto atmosferico in nutrienti utilizzabili dalle piante. Pubblicato sulla rivista New Phytologist, lo studio ha consentito di identificare un nuovo meccanismo di controllo per il corretto funzionamento del nodulo azoto-fissatore nelle piante leguminose.

In natura esistono diversi batteri azotofissatori, come ad esempio i ceppi del Rhizobium, che formano associazioni simbiotiche con le leguminose. Questi microorganismi possono entrare nei tessuti delle radici, insediandosi all’interno delle cellule vegetali e crescere fino a formare un nodulo radicale. Insediandosi nei noduli radicali della pianta, il rizobio permette la formazione di questo nuovo organo in grado di ridurre l’azoto atmosferico in nutrienti per la pianta. Il meccanismo diventa cruciale in condizioni di stress legate a un eccesso d’acqua, che determinano una scarsità di ossigeno, insufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico richiesto per l’attività di fissazione dell’azoto atmosferico nei noduli delle colture leguminose. La ricerca illustra in particolare il ruolo fondamentale svolto da uno specifico trasportatore che posiziona il nitrato all’interno del nodulo.

“Le colture di piante leguminose rappresentano uno strumento fondamentale per un approccio sostenibile in agricoltura, grazie alla loro capacità di arricchire in azoto i suoli in cui sono coltivati”, spiega Maurizio Chiurazzi, coordinatore dello studio. “Al contrario, l’eccessiva fertilizzazione del terreno attraverso la concimazione inquina l’ambiente poiché soltanto una parte dell’azoto contenuto nei concimi viene assimilato dalle piante, mentre il resto rimane nel suolo e i microorganismi presenti nel terreno lo trasformano in prodotti che sono fonte di gravi contaminazioni di falde acquifere e atmosfera”.