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All’origine delle rocce: i segreti del paleomagnetismo

09 febbraio 2021
5 min di lettura
09 febbraio 2021
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Cara roccia, dimmi come sono orientati i tuoi cristalli magnetici e ti dirò quando, in che condizioni e in che parte del mondo ti sei formata. Non è magia, bensì una disciplina nota ai geologi con il nome di paleomagnetismo. Ogni roccia, infatti, custodisce in sé una sorta di archivio di informazioni sulla propria nascita, storia ed evoluzione. Ma cerchiamo di capire in che lingua sono scritte queste banche dati e come possiamo tradurle e interpretarle.

Il campo magnetico terrestre
Il nucleo esterno della Terra, quello più vicino alla superficie, più fluido, è caratterizzato dalla presenza di correnti convettive di ferro, nichel e altri elementi più leggeri. Queste correnti generano un campo magnetico – il campo magnetico terrestre – che può essere considerato un dipolo. Per semplificare: il campo magnetico terrestre può essere paragonato a quello generato da una grossa calamita posta al centro della terra, il cui asse e – di conseguenza – i cui poli sono in continuo movimento, con un’inclinazione di circa 11.5° rispetto all’asse di rotazione terrestre.

Il nome che gli scienziati hanno dato a questo dipolo è GAD (Geocentric Axial Dipole) e per convenzione le sue linee di flusso puntano al polo Nord (vedi la figura seguente). Tuttavia, studiando la magnetizzazione delle rocce che compongono le dorsali oceaniche, gli scienziati hanno scoperto che il campo magnetico terrestre ha invertito il proprio segno (polarità normale e polarità inversa) diverse volte nella storia geologica del pianeta (con una frequenza da 0 a 4-5 inversioni magnetiche ogni milione di anni).

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I minerali magnetici
I minerali rispondono in modo diverso alle sollecitazioni di un campo magnetico e sono stati per questo suddivisi in minerali diamagnetici (come ad esempio il quarzo), paramagnetici (come il calcio) e ferromagnetici (come l’ematite). Mentre le prime due categorie hanno un’intensità di magnetizzazione piuttosto ridotta che ritorna a zero una volta che il campo magnetico è rimosso, le sostanze ferromagnetiche hanno la capacità di “registrare” nel loro fabric la direzione del campo magnetico ad esse applicato. Ed è proprio quest’ultima caratteristica – nota anche come magnetizzazione permanente – a renderle particolarmente interessanti agli occhi del paleomagnetologo.
Quando un campo magnetico esterno (nel nostro caso, il campo magnetico terrestre) viene applicato a un materiale ferromagnetico, le unità magnetiche che lo compongono tenderanno via via ad allinearsi parallelamente al campo applicato e, quindi, parallelamente tra loro. In questo modo, il corpo in questione (nel nostro caso, la roccia) acquisisce una magnetizzazione che, nelle sostanze ferromagnetiche, persiste anche alla rimozione del campo magnetico esterno applicato. Quando una roccia si forma – ad esempio dal magma che si raffredda o dai sedimenti – i minerali ferromagnetici che la compongono si orientano statisticamente secondo le linee di flusso del campo magnetico terrestre presente in quel momento, “memorizzandone” la direzione e l’intensità. Ne consegue che dalla magnetizzazione delle rocce possiamo ricavare una serie in indizi sulle condizioni, il luogo e la data in cui si è formata una roccia.

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Cosa ci raccontano i cristalli magnetici delle rocce?
Uno dei più noti contributi del paleomagnetismo alla storia della scienza è quello relativo all’elaborazione della teoria dell’espansione dei fondali oceanici, la stessa che ha portato a capire che le dorsali che tagliano in due gli oceani tracciano il confine tra due placche divergenti. Intorno alla metà del secolo scorso, gli scienziati osservarono che la polarità magnetica (normale o inversa) delle rocce che compongono i fondi degli oceani varia in modo simmetrico sui due lati di una dorsale oceanica. A partire da questo dato i geologi hanno ipotizzato che gli oceani si espandessero proprio in corrispondenza delle dorsali e che lì avvenisse l’emissione di basalti e la formazione di nuova crosta oceanica. Confermata questa ipotesi, gli oceani sono diventati dei veri e propri “registri” delle inversioni del campo magnetico terrestre e, in un certo senso, dei calendari (Guarda il video).
Ma non è tutto qui. Perché i cristalli magnetici, oltre a dirci se una roccia si è formata in un periodo di polarità normale o inversa, sono anche in grado di dirci – sulla base della propria orientazione – la latitudine a cui le rocce stesse si sono formate. A seconda della direzione del fabric magnetico di una roccia siamo quindi in grado di ricostruire i suoi spostamenti in direzione nord-sud. Si tratta di informazioni preziose, che hanno permesso di affinare, insieme ad altre discipline, le nostre conoscenze sulla teoria della deriva dei continenti e sulla storia geologica e climatica del pianeta.

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Infine, il paleomagnetismo può darci informazioni importantissime sulle direzioni dei flussi (magmatici, ignimbritici, torbiditici, etc.) che hanno portato alla formazione delle rocce. L’orientazione del fabric magnetico di una roccia può infatti essere determinata dall’azione dei flussi che agiscono sulle particelle di un sedimento o di un magma prima che questi si trasformino, appunto, in roccia. Questo significa che nel microscopico mondo dei cristalli è conservata una sorta di “autobiografia” della roccia, scritta dai fenomeni dinamici che l’hanno formata e interpretabile attraverso lo studio dell’orientazione preferenziale dei minerali ferromagnetici.
A seconda delle direzioni che assumono, i cristalli magnetici delle rocce ci restituiscono importantissimi indizi sulle condizioni in cui le rocce stesse si sono formate. Al geologo l’arduo compito di raccoglierli, metterli insieme e…interpretarli!

A cura di Anna Pellizzone