Sabato pomeriggio a Glasgow, i rappresentanti di oltre 200 Paesi presenti alla conferenza sul clima delle Nazioni Unite COP26 hanno raggiunto un accordo finale sugli impegni e le strategie condivise da applicare per contrastare il riscaldamento globale. Il Vertice sul clima avrebbe dovuto concludersi venerdì, ma, come già successo diverse volte nelle conferenze degli anni passati, le discussioni sono andate avanti oltre la scadenza da calendario. Fino all’ultimo c’è stata grande incertezza sul documento finale, e, per riuscire ad arrivare a un accordo che avesse il consenso di tutti i paesi partecipanti, si sono dovuti ammorbidire alcuni passaggi, modificando più volte il testo. Quali sono i punti principali del Glasgow Climate Pact? Vediamoli di seguito.
Obiettivo 1,5 °C
Il passo più concreto dell’accordo riguarda la decisione di contenere l’aumento delle temperature globali medie sotto 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali, 2°C come piano B. Rispetto all’Accordo di Parigi del 2015 sono quindi ribaltate le prospettive: in quel caso si parlava di 2°C come obiettivo reale, di 1,5°C ottimale. Per poter raggiungere questo obiettivo è necessario garantire significative riduzioni delle emissioni globali di gas serra, con emissioni zero entro il 2050. La riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili e, in particolare, del carbone, il combustibile più inquinante, è stata oggetto di diverse discussioni e la decisione presa nell’accordo è stata probabilmente la più criticata. Con il trascorrere dei giorni si è passati dall’idea di “eliminare” gradualmente l’utilizzo di carbone e i finanziamenti per i combustibili fossili alla decisione di “ridurre” il suo impiego. Nel documento finale si chiede quindi di “accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia a carbone” e di “eliminare gradualmente” i sussidi ai combustibili fossili, fornendo al contempo un sostegno mirato ai paesi più poveri e vulnerabili, in linea con i contributi nazionali, e riconoscendo “la necessità di sostegno verso una transizione giusta”. Nonostante questo punto non abbia soddisfatto molti Paesi e diversi gruppi ambientalisti, bisogna ricordare che è il primo accordo di questo tipo in cui è indicato esplicitamente un piano per ridurre l’utilizzo del carbone.
Novità sugli NDC
I singoli Paesi hanno poi discusso i loro Nationally Determined Contributions (NDC) per la neutralità carbonica, cioè gli impegni presi dai singoli Paesi per arrivare alla condizione in cui si emettono tanti gas serra quanti se ne rimuovono dall’atmosfera. Ai Paesi che sottoscrivono l’accordo viene chiesto di “rivedere e rafforzare” i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 entro la fine del 2022, “tenendo conto delle diverse circostanze nazionali”. Gli Stati si sono inoltre impegnati a rivedere questi accordi ogni anno, anziché ogni cinque anni, cosa che li rendeva rapidamente obsoleti. Ai paesi ricchi, poi, si chiede di “almeno raddoppiare” entro il 2025, rispetto ai livelli del 2019, i finanziamenti per sostenere l’adattamento dei paesi in via di sviluppo.
Accordo sulla deforestazione
Un’altra delle novità più importanti riguarda l’accordo sulla deforestazione, sottoscritto da 134 Paesi. I Paesi firmatari ospitano l’85% delle foreste mondiali, e tra di loro, oltre alle più grandi economie del mondo come Stati Uniti e Cina, ci sono anche paesi come Brasile, Russia, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo, che ospitano alcune delle più grandi foreste mondiali. Anche l’Italia figura tra i firmatari. Con questo accordo si spera di fermare la deforestazione entro il 2030, sfruttando i 19,2 miliardi di dollari previsti dalla conferenza. Riguardo a questo accordo vi è molto scetticismo, poichè, nonostante i buoni propositi, non è vincolante e non prevede sanzioni per chi non lo rispetta.
Altri accordi
Un altro accordi, firmato da 108 Paesi, prevede di ridurre del 30% le emissioni di metano entro il 2030. Tra i Paesi che hanno aderito, figurano gli altri Stati Uniti e l’Unione Europea, ma ne sono rimasti fuori alcuni grossi produttori di metano, come Cina, India e Russia. Un altro accordo firmato da 22 Paesi prevede che tra il 2035 e il 2040 tutti i nuovi autoveicoli venduti saranno elettrici: non l’hanno tuttavia firmato i principali produttori di auto, come Germania, Giappone, Stati Uniti e Cina.
Cosa non ha funzionato alla Cop26
Non tutti gli obiettivi auspicati dalla Cop26 sono stati raggiunti. Le nazioni partecipanti hanno temporeggiato, e di fatto rimandato l’accordo sugli aiuti economici da fornire ai Paesi meno sviluppati per affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Nella stesura finale del documento, gli Stati più ricchi sono “invitati” a raddoppiare i loro finanziamenti per permettere il processo di decarbonizzazione del pianeta. Tantissimi Paesi del terzo mondo o in via di sviluppo hanno ancora necessità di utilizzare uno dei combustibili più inquinanti per il nostro sistema: senza aiuti economici, non potranno intraprendere in modo concreto il cammino delle energie rinnovabili. Il tema è stato rimandato al 2024, senza citare i 100 miliardi di dollari all’anno per favorire la decarbonizzazione previsti dall’Accordo di Parigi. Inoltre, il documento approvato alla Cop26 non accoglie una delle richieste effettuate dai Paesi più poveri: il fondo per bilanciare le perdite causate dai danni del cambiamento climatico nei Paesi più a rischio. Anche in questo caso, gli Stati più ricchi sembrano aver fatto orecchie da mercante sulla questione, limitandosi a prevedere l’avvio di un dialogo per istituirlo.