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Gli oggetti accompagnano la vita di tutti noi: compriamo e usiamo centinaia di prodotti. Pensiamo per esempio ai contenitori, come le scatole, i vasetti, le bottiglie, che contengono i cibi che acquistiamo al supermercato; alla carta, alle penne, alle matite e alle gomme che usiamo a scuola o in ufficio quotidianamente; ai mobili che arredano le nostre case e agli oggetti e vestiti che sono contenuti in questi mobili. Potremmo continuare l’elenco, la lista che ne risulterebbe sarebbe lunghissima.

Pensiamo adesso alla durata degli oggetti che usiamo quotidianamente: la gran parte di questi ha una vita molto breve, li usiamo e poi li buttiamo. Questo capita, per esempio, con gli imballaggi che contengono i cibi o i prodotti acquistati al supermercato. La scatola che contiene il dentifricio o lo spazzolino viene immediatamente gettata via; lo stesso vale il cartone che avvolge i succhi di frutta, le confezioni di plastica che racchiudono molti ortaggi, verdura o frutta, e così via. Cosa accade poi al tubetto di dentifricio quando è finito e allo spazzolino quando si è consumato? Semplicemente li gettiamo via, perché non ci sono più utili. Lo stesso vale per tutti gli oggetti che fanno parte della nostra vita: quando riteniamo che non siano più utili, buttiamo via questi oggetti trasformandoli in rifiuti. Questo modo di trattare i beni di consumo è stato definito “economia lineare”. Secondo questo modello di produzione e consumo, la vita di ogni prodotto è scandita essenzialmente da cinque tappe: estrazione, produzione, distribuzione, consumo e smaltimento. Questo vuol dire che l’industria estrae le materie prime vergini, le trasforma per produrre beni di consumo utilizzando lavoro ed energia, distribuisce i prodotti al consumatore, il quale, dopo averli utilizzati, procede allo smaltimento degli “scarti” e, quindi, dei prodotti stessi, ormai diventati “rifiuti”. Ogni tappa della vita di un prodotto richiede materie prime ed energia e genera rifiuti ed emissioni inquinanti.Secondo questo modello di economia, ogni bene di consumo passa dalla culla alla tomba (cradle to the grave): ciò vuol dire i prodotti hanno un inizio e una fine, la loro vita, infatti, si conclude in pattumiera, dove la materia diventa rifiuto, inutilizzabile a fini produttivi. È oggi riconosciuto a livello mondiale che questo impiego delle risorse, unito alla costante crescita demografica, all’aumento dei consumi e all’utilizzo spesso poco efficiente delle risorse, non è più sostenibile. Se questa tendenza dovesse continuare all’attuale ritmo, nel 2050 ci troveremmo ad aver bisogno di due pianeti.

L’obsolescenza programmata

Si parla di “obsolescenza programmata o pianificata” per definire la strategia adottata dall’economia industriale, secondo la quale la durata dei beni di consumo viene limitata a un periodo prefissato. Passato quel tempo, il prodotto diventa inservibile oppure diventa semplicemente obsoleto agli occhi del consumatore in confronto a nuovi modelli sul mercato, che appaiono più moderni sebbene siano poco o per nulla migliori dal punto di vista funzionale.

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Nascita dell’economia lineare

Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo l’uomo conosce un periodo di rapido sviluppo economico e scientifico. L’incredibile sviluppo tecnologico che ha seguito la Rivoluzione Industriale e soprattutto il secondo dopoguerra ha determinato un aumento rapido della ricchezza e, di conseguenza, ha fatto nascere e alimentato l’idea di una disponibilità infinita di risorse, materiali e prodotti.

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Limiti del modello di produzione e consumo lineare

Come abbiamo visto, il modello economico lineare si basa sul continuo consumo di oggetti: per esempio, uno smartphone ancora perfettamente funzionante va cambiato solo perché è uscito un modello nuovo; l’aspirapolvere rotto viene sostituito con uno nuovo perché ripararlo non è conveniente.

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È difficile ricondurre il concetto di economia circolare a una data certa o un singolo autore da cui ha avuto origine l’economia circolare, tuttavia le applicazioni pratiche ai moderni sistemi economici e ai processi industriali risalgono agli anni ’70.

Sicuramente uno degli articoli che ha gettato le fondamenta dell’economia ambientale è “The economics of the coming spaceship Earth” pubblicato nel 1966 a cura Kenneth Boulding. Nell’articolo, Boulding delinea due tipi di economia, identificandoli con due figure, il cowboy e l’astronauta: il cowboy si limita a considerare le pianure sterminate che lo circondano, mosso da una continua sete di conquista e di consumo, l’astronauta ha invece la profonda consapevolezza del sistema che lo ospita, la grande navicella spaziale Terra, dei suoi limiti e dei cicli che regolano il suo funzionamento. “Sia pure in modo pittoresco chiamerò ‘economia del cowboy’ l’economia aperta; il cowboy è il simbolo delle pianure sterminate, del comportamento instancabile, romantico, violento e di rapina che è caratteristico delle società aperte. L’economia chiusa del futuro dovrà rassomigliare invece all’economia dell’astronauta: la Terra va considerata una navicella spaziale, nella quale la disponibilità di qualsiasi cosa ha un limite, per quanto riguarda sia la possibilità di uso, sia la capacità di accogliere i rifiuti, e nella quale perciò bisogna comportarsi come in un sistema ecologico chiuso capace di rigenerare continuamente i materiali, usando soltanto un apporto esterno di energia”.

Boulding è stato il primo a considerare la Terra come un sistema chiuso: solo dalla Terra, proprio come avviene per gli astronauti in una navicella spaziale, i terrestri possono trarre le risorse necessarie, e solo sulla Terra possono rigettare le scorie e i rifiuti. Le scorte di energia, quindi, possono essere rimpiazzate solo da energia solare mentre quelle di acqua e materie prime possono essere durevoli solo se queste sono riutilizzate e riciclate. Il mito dell’espansione dei consumi e delle economie dei singoli Paesi e mondiale può portare soltanto a una crisi più o meno vicina nel tempo, proprio perché questo modello si basa su un presupposto errato, e cioè considerare illimitate le risorse sul nostro Pianeta.

Gli anni ’70 e la presa di coscienza ambientale

Gli anni ’70 furono la culla della presa di coscienza ambientale, del pensiero ecologico e della necessità di adottare un modello economico e di vita più sostenibile. In quegli anni nacque il movimento ambientalista su scala internazionale e nel 1972 il MIT realizzò lo studio scientifico “Limits to growth” (I limiti dello sviluppo) su commissione del Club di Roma, per studiare il problema della scarsità delle risorse e del limite dello sviluppo.

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Il cerchio da chiudere e i limiti dello sviluppo

Nel 1971 Barry Commoner, biologo statunitense nato nel 1917, nel noto libro “Il cerchio da chiudere” scrisse: “Il sistema vitale terrestre si basava su una risorsa non rinnovabile, sull’acqua e sull’accumulo geochimico di sostanza organica: la sopravvivenza divenne possibile solo grazie alla comparsa dei primi organismi che svilupparono la fotosintesi (…).

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L’economia ciclica di Stahel

Walter R. Stahel è considerato oggi il padre dell’economia circolare e uno dei più grandi visionari poiché è fermamente convinto che vi sia un’altra economia possibile. Nel 1976 Stahel, insieme a Geneviéve Reday-Mulvey, realizzò un rapporto tecnico destinato alla Commissione europea intitolato “The Potential for Substituting Manpower for Energy” (Sostituire l’energia con la manodopera: potenzialità), in cui analizzava il tema dello spreco delle risorse legato alla rapida dismissione dei beni di consumo.

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Dalla culla alla culla

“Tutte le formiche di questo pianeta, messe insieme, creano una biomassa ben maggiore di quella di noi umani. Le formiche sono state incredibilmente industriose per milioni d’anni, eppure la loro produttività ha nutrito le piante, gli animali, il suolo. Non si può dire la stessa cosa dell’industria umana.”

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Dalla vela all’economia circolare: la storia di Ellen MacArthur

Ellen MacArthur ha fondato nel 2010 la Ellen MacArthur Foundation, un’organizzazione no-profit internazionale nata per accelerare la transizione verso un’economia rigenerativa e circolare e per renderla effettiva e concreta. Attualmente la Fondazione di Ellen MacArthur rappresenta il principale soggetto operativo per la diffusione dell’economia circolare a livello internazionale, poiché lavora per riunire scuole di pensiero anche complementari con l’obiettivo di creare un quadro coerente. 

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