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Sotto il segno dell’Orsa

26 febbraio 2025
4 min di lettura
26 febbraio 2025
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Trentamila anni fa, sulle pareti della grotta di Chauvet-Pont d'Arc nel sud della Francia, mani primitive dipinsero elefanti lanosi, rinoceronti, leoni, cavalli e orsi. Animali scomparsi che “vivono” ancora sulla roccia e stupiscono per la modernità del tratto. C’è un orso rosso che somiglia addirittura a Ernest il protagonista dei libri illustrati e del film d’animazione Ernest e Celestine. Nella grotta c’è qualcosa di più: i nostri antenati appoggiarono il cranio di un orso delle caverne sopra una specie di altare roccioso, forse la testimonianza di un culto dedicato a Ursus spelaeus, il signore delle grotte. L’orso delle caverne era l’animale più temibile del Settentrione; Septem Triones dicevano i latini, i sette buoi soggiogati al Grande Carro, le sette stelle dell’Orsa Maggiore la grande costellazione del Nord. Un mito diffuso tra i popoli eurasiatici e nordamericani individua nelle stelle della coda tre cacciatori e nel rettangolo un’orsa che fugge. Perché popoli lontani nello spazio e nel tempo hanno visto la stessa scena di caccia in una figura che tuttalpiù somiglia a un mestolo?

Secondo l’astronomo statunitense Bradley E. Schaefer il mito dell’Orsa risale a un tempo remotissimo e precede le migrazioni che 15.000 anni fa portarono l’uomo in Nord America attraverso lo stretto di Bering ghiacciato. Quindi l’orso sarebbe la figura centrale del culto più antico di cui abbiamo ricordo. L’orso è la belva feroce, l’animale guerriero e insieme un esempio di amore materno. Gli altri animali simboleggiano singole caratteristiche dell’animo umano (la volpe è solo furba, il leone è solo coraggioso) mentre l’orso è complicato, proprio come noi. Forse è perché il suo aspetto e certi suoi atteggiamenti somigliano ai nostri.

Gli orsi scesero dal firmamento per combattere negli anfiteatri romani contro i leoni e i tori, i leopardi e i gladiatori. Ce lo raccontano gli antichi mosaici, come quello della casa dell’Orso Ferito a Pompei. Secoli più tardi l’orso divenne un buffone girovago al seguito degli artisti di strada e poi un clown ballerino nei circhi. La tradizione circense è ricordata da Orso il simpatico giocoliere amico di Masha, la ragazzina pestifera della serie animata Masha e Orso. Anche Disney colse l’aspetto più buffo del grande animale quando prese l’orso Baloo, serio maestro di vita ne “Il Libro della Giungla” di Kipling, per farne un buontempone spensierato.

Theodore Roosevelt è stato il 26° presidente degli Stati Uniti. Era anche un cacciatore e nel 1902 i suoi assistenti legarono un orso stremato e ferito a un albero della foresta affinché il Presidente potesse ucciderlo con facilità. Roosevelt si rifiutò di compiere un gesto così poco sportivo e non sparò, in compenso ordinò ai suoi di terminare le sofferenze dell’animale. Un quotidiano prese in giro la discutibile generosità del Presidente con una vignetta satirica e i giornalisti battezzarono quel povero orso con il soprannome di Roosevelt: Teddy. Due fabbricanti di balocchi sfruttarono la notorietà dell’episodio e diedero lo stesso nomignolo a un’invenzione di pezza. Fu così che nacque Teddy Bear l’orsacchiotto di peluche, il più classico e amato tra i giocattoli. Qualche anno più tardi lo scrittore inglese Alan Alexander Milne prese spunto dal Teddy di suo figlio per creare le avventure di un orsetto goloso di miele e dei suoi amici di stoffa. Milne pubblicò il primo libro di Winnie the Pooh nel 1926.

La tradizione degli orsi simpatici proseguì nel 1922 quando la Coca-Cola usò per la prima volta l’immagine allegra di un orso polare in una campagna pubblicitaria. Nel 1958 Hanna e Barbera crearono il cartone animato di Yoghi, l’orso con la mania di rubare la merenda ai turisti del Parco di Yellowstone.

Negli ultimi anni, grandi fotografi hanno una nuova e drammatica immagine dell’orso. L’animale è diventato simbolo dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale. C’è una foto con un orso bruno sfinito mentre rovista tra i rifiuti di un’immensa discarica (Moth, 2017). In un video un orso polare si trascina scheletrico prima di morire di fame (Nicklen, 2017). La più famosa (Langenberger, 2015) è quella con un un orso bianco pelle e ossa aggrappato all’ultimo pezzo di ghiaccio di un Mare Artico che non domina più. Proprio l’orso che a quelle distese ghiacciate ha dato il nome: “Artico” deriva dal greco “árktos” che significa “orso”, appunto.